A Snake of June

Cinema

Giappone, 2002
Titolo originale: Rokugatsu no Hebi
Genere: Erotico/Drammatico
Durata: 77'
Regia: Shyhina Tsukamoto
Cast: Asuka Kurosawa, Yuji Koutari, Shinya Tsukamoto, Tomoro Taguchi, Susume Terajima, Mansaku Fuwa, Teruko Hanahara

Rinko e Shigehiko, pur non toccandosi e vivendo in letti separati, conducono una vita apparentemente tranquilla. Alcune foto verranno a turbare l’equilibrio della coppia. Un’opera sofisticata e maledetta girata in un raffinato bianco e nero, ultima opera del visionario Tsukamoto, già autore culto di Tetsuo, Tokio Fist, Gemini. Ambientato in una Tokyo oscura ed enigmatica, un film astratto e insieme realistico, un’ossessione che turba e non si dimentica. Premio Speciale della Giuria al Festival di Venezia.

di Alessandro Molatore
Una considerazione iniziale. Nel suo settimo lungometraggio, A Snake of June, Tsukamoto firma la regia, scrive il soggetto e la sceneggiatura, cura la fotografia, la scenografia e il montaggio, oltre ad essere uno degli attori principali del film (in Tetsuo si era occupato anche degli effetti speciali visivi). Contestualizzando tutto ciò in un sistema produttivo come quello italiano, mi chiedo un po’ sorpreso come un uomo solo possa dirigere contemporaneamente la preparazione di un set, le m.d.p., le luci di scena, gli attori ed allo stesso tempo recitare la parte di un protagonista. Certamente stiamo parlando di Iron Man Tsukamoto, ma anche altri autori giapponesi solitamente si occupano di più aspetti della produzione di un film. Come Beat Takeshi (Kitano), che scrive generalmente anche le musiche dei suoi lavori e dipinge le tele e i quadri che gravitano nelle sue pellicole (come in Hana Bi).
Questo è un discorso che va oltre la genialità e la versatilità dei personaggi in questione. Siamo di fronte, infatti, ad un modo di fare cinema, quello giapponese, che si discosta infinitamente dal carattere industriale dei nostri film e, tanto più, da quelli a stelle e strisce, che al contrario usano, come punto di forza, la rigorosa divisione dei ruoli. Il cinema nipponico sembra invece offrire ai suoi autori una libertà creativa che nei paesi occidentali è, il più delle volte, solo aspirata.
Ma torniamo A Snake of June e a Tsukamoto. Il film è una macchina (fotografica) impazzita, folgorante, brutale. E Tsukamoto, nonostante l’aspetto innocuo, si dimostra il solito pazzo furioso, tanto maniacale quanto cosciente delle potenzialità del mezzo cinematografico.
Dopo il doppio Tetsuo e Bullet ballet, Shinya Tsukamoto decide di cimentarsi nel meta-cinema, terreno che ha portato a lavori mediocri autorevoli registi come ad esempio Woody Allen (con Stardust Memories) e, proprio durante questo festival di Venezia, il pur bravo Soderbergh (con il discutibile Full Frontal). Shinya decide, infatti, di interpretare la parte di un vojeur-maniaco che, dopo aver fotografato in un attimo di auto-erotismo una giovane donna di nome Rinko, la ricatta minacciandola di mostrare le foto al marito Shigehiko. Chiaramente neanche il marito è un impiegato sereno e equilibrato, ma un pazzo, fanatico dell’igiene, che non riesce ad avere contatti corporali con la moglie. Il fotografo/Tsukamoto, attraverso il ricatto, condurrà prima Rinko, poi anche il marito, in una vorticosa spirale psico-sessuale che permetterà al vojuer di soddisfare le proprie manie e pulsioni e alla coppia di ritrovare un erotismo disperso.
A Snake of June coniuga violenza e poesia alternando sequenze rapidissime con lente inquadrature di contemplazione fotografica.
L’elegante bianco e nero virato sui toni del grigio-azzurro immerge lo spettatore in una Tokio repressa e, alcune scene di micidiale impatto, sconvolgono e, morbosamente, coinvolgono, avvicinando la pellicola ad un atipico melodramma romantico.
Lo sviluppo del film toccherà un altro aspetto caro al cinema di Tsukamoto: l’ossessione per la carne (ben sviluppato nell’ormai film cult Tetsuo). Il fotografo ricattatore scopre nel corpo di Rinko un principio di cancro al seno. Il vortice riprende conducendo lo spettatore in un finale che si aggroviglia su se stesso, risultando forse l’aspetto meno riuscito di un film comunque sorprendente per ritmo, eleganza formale e partecipazione emotiva.
Shinya Tsukamoto ringrazia il pubblico della Sala Grande che lo applaude per cinque minuti. Ringrazia la giuria del festival che gli assegna il Premio Speciale della Giuria. E attende che il suo Serpente di Giugno trovi il meritato spazio nelle sale. La critica e il pubblico italiano sono con lui.
da www.cinemavvenire.it


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