Afghanistan: una crisi dalle radici lontane
Mercoledì 14 ottobre 2009, alle 17,30, a Trento, nella Sala degli Affreschi della Biblioteca comunale (Via Roma 55) il Centro Studi sulla Storia dell'Europa Orientale organizza l'incontro-dibattito Afghanistan: una crisi dalle radici lontane. Interviene Giovanni Bensi. Introduce Massimo Libardi.
La guerra in Afghanistan non accenna ad acquietarsi. Cresce il numero dei morti, sia fra i militari dell'ISAF (vedi la recente uccisione di 6 italiani, preceduta da altre vittime fra i nostri connazionali e altri contingenti) sia fra i militari e civili afghani. Colpisce in particolare la reviviscenza del movimento dei taliban, sconfitto nel 2001 dopo aver imposto alla popolazione afghana un regime assurdamente rigorista e terroristico. Al di là dei fatti di cronaca, occorre ricercare nella storia afghana la basi di queste contraddizioni. Da essa si vede che l'integralismo dei taliban è estraneo alla tradizione afghana, ma si è imposto in seguito ad avvenimenti più ampi che riguardano tutta l'Asia Meridionale (India e Pakistan).
La società afghana si basa su tre pilastri fondamentali:
Primo: l'Islam "confreternale" di origine sunnita centro-asiatica, basato sulle tariqat (confraternite "sufiche"), organizzate con un sistema di maestri (murshid) e di discepoli (murid). Paragonabili (grosso modo) a partiti religiosi, le tariqat svolgono una grande influenza politica. Ve ne sono diverse: la "Naqshbansiyyah", la "Qadiriyyah", la "Shaziliyyah", la "Chishtiyyah" (di origine indiana) e altre. Le tariqat possiedono una ricca "liturgia" (zikr) e sono in genere tolleranti.
Secondo: Il sistema delle tribù e dei clan che si articola su tre livelli: qawm (tribù), khel (clan) e kesh (o khanadan, grandi famiglie). I qawm storicamente sono due: i Durrani e i Ghilzai. In genere i kesh, come il qaum dei Ghilzai, hanno denominazioni che terminano in -zai (Popalzai, Saddozai, Ahmadzai, ecc). Anche Karzai (Hamid Karzai è l'attuale presidente) è il nome di un kesh. A capo di tribù, clan e grandi famiglie vi è uno sheikh (anziano). I capi del sistema confraternale e tribale, spesso indicati col termine turco aksakal ("barbe bianche") partecipano periodicamente alla Loyah jirgah ("grande assemblea") che funge da parlamento con regole di "democrazia aristocratica". Cioè abbiamo una sorta di collusione fra "Stato" e "Chiesa".
Il terzo pilastro della società afghana è il Pustunwali, il codice d'onore che regola il comportamento dei cittadini, dalle questioni morali generali a quelle della vita quotidiana. Esso abbraccia temi come l'onore, l'ospitalità, la solidarietà di clan (asabiyyah), la "vergogna" e la reazione ad essa, la faida, la lealtà, il tradimento, ecc. Molti afghani considerano il Pushtunwali un documento prettamente musulmano, mentre esso ha origini tribali mediterraneo-centroasiatiche quali si trovano in Albania o nell'Italia insulare.
Poiché l'Afghanistan non è una nazione unitaria (prevalgono i pushtun, ma vi sono anche tagiki, uzbeki, turkmeni, i mongoli hazara, sciiti e di lingua persiana, ecc.), non vi è un patriottismo legato al paese. Tradizionalmente la lealtà dei sudditi va al re (shah, o scià), l'ultimo dei quali, fino al 1963, è stato Zahir Shah della tribù dei Durrani.
I taliban sono una propaggine afghana delle dottrine islamiche fondamentaliste sviluppatesi nel periodo fra le due guerre mondiali presso i musulmani dell'India in lotta con gli hindu per conquistarsi una posizione di vantaggio dopo la prevedibile fine del dominio coloniale britannico.
La lotta fra musulmani e hindu portò alla reciproca radicalizzazione. Al di là di figure di emblematico pacifismo, come il Mahatma Gandhi, la scena hindu era dominata da personaggi come Madhav Sadashiv Golwalkar che, almeno per un periodo, non nascondeva simpatie filonaziste.
All'estremismo hindu si oppose quello musulmano, impersonato dal teologo Abu'l Ala Maududi. Questi elaborò una dottrina dello "stato islamico" di carattere assolutistico e in parte ispirata all'idea dello "stato etico". Questa dottrina sanciva che lo Stato è governato direttamente da Allah attraverso un suo luogotenente (khalifah o amir) al quale tutti dovevano assoluta sottomissione e obbedienza (ibadat). In India, e poi in Pakistan, queste idee trovarono accoglienza presso i settori più intransigenti del "clero" musulmano, i deobandi, a furono insegnate agli studenti (taliban) delle scuole organizzate nei campi-profughi afghani in Pakistan durante l'occupazione sovietica dell'Afghanistan (1979-1989). Ma la parola taliban (plurale di talib, "allievo") significa anche "colui che aspira a qualcosa" e veniva usata negli ambienti maududisti nell'espressione taliban-i ghayat, "coloro che aspirano all'estremo" della fede islamica.
In Afghanistan i taliban hanno stabilito un controllo totale sulla popolazione, imponendo norme spesso pseudoreligiose, ed hanno stabilito un'intesa con diversi settori degli aksakal e con i grandi produttori di oppio, assicurandosi una posizione di predominio nel paese che ora ne rende difficile la sconfitta definitiva.