Alec Itrifia - Artificene
Alec Itrifia è un leggendario collettivo artistico anonimo fondato il 13 settembre 1999, quasi una “Spectre” delle arti visive, dietro il quale si celano artisti provenienti da ogni parte del mondo, uniti dalla comune scelta di rimanere nell’ombra. Infatti l’anonimato è il cardine del collettivo, custodito gelosamente per consentire alle opere di parlare per se stesse, senza essere influenzate dalla fama, dalle etichette o dalle biografie di chi le ha generate.
Alec Itrifia è un calderone di tecniche, materiali, approcci espressivi, messaggi dove pittura, fotografia e grafica si intrecciano in un dialogo polifonico ma curiosamente non cacofonico, quasi a dimostrare l’esistenza di una sorta di entanglement artistico fra autori che molto spesso non si conoscono nemmeno fra loro stessi e trascendono le barriere geografiche e culturali in un tutto che diviene identità collettiva, nutrendosi e consolidandosi grazie alle loro personali visioni.
La mostra presentata allo Spazio Civico Albano Tomaselli di Castel Ivano rappresenta un unicum per il panorama espositivo non solo locale. Anche la scelta di un luogo per certi versi “esterno” agli usuali approdi dell’arte contemporanea internazionale costituisce da un lato l’ultima delle provocazioni alle quali il collettivo ha abituato critici ed estimatori, dall’altro l’implicito riconoscimento a uno spazio espositivo che si sta ritagliando un ruolo
significativo nel panorama artistico.
“Artificene”, questo il titolo scelto per l’esposizione, indaga il rapporto/scontro dell’uomo con i suoi simili e con il contesto entro il quale agisce come animale sociale. Sei gli artisti presenti.
Artista 1 propone una rilettura dei dieci comandamenti della dottrina cattolica in chiave surrealista, prendendo spunto dalle visioni retrò delle vecchie copertine della serie di romanzi fantascientifici “Urania” e reinventandole con gusto minimalista, non disdegnando di giocare in un sogno che si muove in bilico tra un’ostentata solennità e la parodia.
Artista 2 si avvale del linguaggio iperrealista per una serie di opere di grande formato (WWI war machine) che prendono spunto dalle armature di protezione utilizzate dagli eserciti della prima guerra mondiale, estremizzandole e reinventandole per puntare lo sguardo sulla disumanizzazione della macchina bellica, la cui prima regola non può che essere il completo annichilimento dell’individuo, reso visivamente evidente dall’irriconoscibilità dei
volti celati.
Artista 3 ci conduce in un viaggio a cavallo tra le colpe delle vecchie e i conti da saldare in capo alle nuove generazioni, sulle quali pende la spada di Damocle dei cambiamenti climatici, nell’asciutta reinvenzione grafica di uno spazialismo “ecologista” dominato dall’ossessiva riproposizione di crepe nere su campo rosso, quasi a voler sfidare l’indifferenza di un’opinione pubblica e di una classe dirigente troppo colpevolmente distratte.
Artista 4 è un ritrattista che ci invita a scavare in noi stessi superando le convenzioni e i luoghi comuni che a volte ci costringono a indossare una maschera dietro la quale celare il nostro essere più autentico. Maschere di legno abitate da occhi umani, in un bianco e nero di violenti contrasti tra luce e ombra, visto e invisibile.
Artista 5 gioca con le parole e con il tempo: “Dannati selfie” può essere un anatema nei confronti della pratica tutta contemporanea dell’autoscatto da social network ma allo stesso tempo produce un effetto straniante se gli autori/protagonisti dei selfie in questione sono i dannati dell’inferno dantesco.
Artista 6, infine, ci porta alla scoperta di un mistero dal retrogusto nerd che risale agli anni Ottanta: il famosissimo game arcade Pac-Man arriva fino al livello 256 dove, a causa di un bug informatico, gli ordinati e geometrici percorsi della mitica pallina gialla cedono il posto a un caotico incubo digitale. E oltre il livello 256?