Alle origini del mito della Grande Guerra Patriottica

Fernando Orlandi discute con Francesca Gori. Introduce Massimo Libardi

Incontri e convegni

“Devushkak iz Nagasaki”, La ragazza di Nagasaki è una canzone assai nota di Vladimir Vysotskii. Diversamente dalla gran parte del suo repertorio, non fu ne l’autore: il bardo si limitò a rimaneggiare dei versi di Vera Imber che risalivano all’inizio degli anni Venti.
Vera Imber era nata ad Odessa nel 1890. Il padre, Moses Spentzer, era un noto editore, mentre la madre Fanny dirigeva una scuola ebraica femminile. Quest’ultima era imparentata con Lev Trotskii: erano cugini, e Lev visse a Odessa con loro dal 1889 al 1895. Vera Inber era una bambina quando Trotskii lasciò la loro casa, ma questa parentela segnò la sua vita.
Dal 1910 Vera Inber visse in Svizzera e poi a Parigi con il primo marito, il giornalista e critico letterario Natan Inber. La coppia tornò in Russia, ma quando la rivoluzione arrivò a Odessa, si trasferì a Costantinopoli. Nel 1920 lei ritornò in patria, divorziò e si trasferì a Mosca dove sposò Aleksandr Frumkin, il futuro padre della scuola sovietica di elettrochimica. Lo stesso anno, al Primo congresso dei poeti di tutta la Russia rappresentò gli Intimisti. Nel 1923 aderì al gruppo dei Costruttivisti e alla metà degli anni venti entrò a far parte della sezione moscovita di Tsekh Poetov. Dal 1924 al 1926, visse molto all’estero, a Parigi, Bruxelles e Berlino, lavorando come giornalista.
Nel 1926 a Mikhail Kol’tsov, direttore di Ogonëk, venne l’idea di raccogliere venticinque scrittori, ognuno dei quali avrebbe dovuto elaborare il capitolo di un libro, il “romanzo collettivo” Bol’shie pozhary (Grandi incendi, 1927). Tra gli autori, grandi scrittori dell’epoca: Babel’, Lavrenev, Fedin, Zoshchenko, Kaverin, e Vera Inber.
Per tutta l’epoca sovietica questo libro cadrà nell’oblio. Sei degli autori saranno vittime del Grande terrore; Kol’tsov, sotto tortura, “confesserà” di avere raccolto attorno al suo giornale un “gruppo antisovietico di scrittori”.
Nel decennio precedente molto era cambiato in Unione Sovietica. Alla fine del 1927 Stalin aveva iniziato a liquidare l’Opposizione unificata, divenendo il capo indiscusso del partito. Trotskii venne esiliato ad Alma Ata e poi espulso in Turchia. Verso la fine degli anni trenta i trotskisti furono le vittime di uno degli spettacolari processi farsa di Mosca. Nell’agosto del 1940 Trotskii fu assassinato in Messico.
La caduta in disgrazia di Trotskii segnò la successiva esistenza di Vera Inber. Pur non avendo mai svolto attività politiche a suo favore, aveva un legame di parentela con l’avversario maggiormente odiato da Stalin, cui aveva pure dedicato alcune poesie, pubblicate nella raccolta Tsel’ i put’ (1925).
In quegli anni bastava anche meno per un lungo viaggio attraverso l’arcipelago del Gulag o per una liquidazione sommaria da parte di una troika. Diversi parenti di Trotskii furono liquidati, tra cui tre nipoti, dapprima arrestati e poi uccisi. Per qualche ignota ragione, Vera Inber venne risparmiata. La sopravvivenza comportò la perdita dell’allegra e maliziosa poetessa che aveva scritto della moda parigina e aveva insegnato alle donne russe come vestirsi ed essere moderne. Da quel momento visse nella consapevolezza che la sua vita era in pericolo. Alla poetessa che animava i salotti subentrò per il resto della sua vita un intransigente “commissario letterario”, come scrisse Evgenii Evtushenko. Pronta a tessere le lodi di Stalin e attenta a non scrivere nulla che uscisse dal binario dell’ortodossia, nel 1934 partecipò assai attivamente alla stesura del volume celebrativo della costruzione del canale Mar Bianco-Mar Baltico: 227 km. scavati quasi esclusivamente con lavoro manuale dei detenuti del Gulag, 25mila dei quali perirono.
Alla vigilia della guerra Inber sposò in terze nozze Il’ya Strashun, medico e storico della medicina, viene inviato a Leningrado a dirigere il Primo istituto di medicina della città. Durante l’assedio Inber lavorò all’agenzia TASS e a Radio Leningrado. Appartengono a questo periodo due opere che le diedero fama e il Premio Stalin nel 1946: Pulkovskii meridian (Il meridiano di Pulkovo, 1942) e Pochti tri goda. Leningradskii dnevnik (Quasi tre anni. Diario di Leningrado, 1945). Queste opere costituirono un tassello importante nella costruzione del mito della blokada, dell’assedio di Leningrado.

Il Premio Stalin e la situazione nuova in cui venne a trovare cambiò Vera Inber in una donna di successo che inizia a godere dei confortevoli privilegi della nomenklatura, ma soprattutto la trasformò in un intransigente “commissario letterario”. Nella direzione dell’Unione degli scrittori dell’URSS, nel dopoguerra iniziò a perseguitare suoi colleghi, primi fra tutti Boris Pasternak e Lidiya Chukovskaya. Molti rapporti si deteriorarono: Anna Akhmatova rifiutò la sua prefazione ad una raccolta di poesie. Nel 1958 fu addirittura feroce con Pasternak. Dopo la sua espulsione dall’Unione degli scrittori perché gli era stato assegnato il Premio Nobel per Il dottor Zhivago, Vera Inber fece approvare una mozione nella quale gli scrittori di Mosca chiedevano che venisse privato della cittadinanza.

Secondo Lisa Kirschenbaum, Vera Inber divenne la principale narratrice dell’assedio di Leningrado. Dal settembre 1941 al gennaio 1944, l’assedio costò la vita a più di un milione di persone e fu uno degli eventi più tragici della Seconda guerra mondiale. Parte della memorialistica fu fortemente ostacolata dal regime sovietico, che impedì la pubblicazione di racconti veritieri su quei 900 giorni.
Diverso fu invece il caso di Vera Inber i cui testi corrispondevano con la retorica ufficiale del potere sovietico. Operando una forte azione di autocensura, l’autrice ridusse e modificò il testo delle proprie memorie per seguire i dettami e le regole dell’epoca.
Le memorie di Vera Inber sono ora state tradotte in italiano da Francesca Gori: Quasi tre anni. Leningrado. Cronaca di una città sotto assedio (Guerini e Associati).
In collaborazione con con Memorial Italia e la Fondazione Museo Storico del Trentino, la Biblioteca Archivio del CSSEO organizza l’incontro-dibattito Alle origini del mito della Grande Guerra Patriottica. Fernando Orlandi discute con Francesca Gori. Introduce Massimo Libardi.

l’incontro-dibattito si terrà mercoledì 20 aprile, alle ore 17,30 presso la Biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino (Via Torre d'Augusto 35 – Trento).

In ottemperanza alle normative vigenti, per la partecipazione all’incontro-dibattito è necessario indossare la mascherina FFP2.

L’incontro-dibattito può essere seguito on-line sulla piattaforma Zoom al seguente link: https://us06web.zoom.us/j/84347018227?pwd=QkY0UTl4am1ZdFB6WGY1V05jMUVWQT09