Annamaria Targher. Bestiario

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[…] assistiamo al compiersi di una fantasmagorica ma terrifica ibridazione, in cui l’animale sembra assumere tratti umani e l’uomo le fattezze dell’animale […]

Con Bestiario Annamaria Targher propone una propria piccola ma densa raccolta di lavori sul tema degli animali. Sempre creature reali, però allegoricamente connotate ora da precisi riferimenti letterari (Esopo e La Fontaine in Gallina dalle uova d’oro), ora dal chiaro e voluto richiamo alla figura umana. Come già nei Bestiari medievali, l’unione di elementi zoomorfi e antropomorfi porta alla raffigurazione di strani esseri ibridi, simbolo di difformità ma anche di quell’ inquietante enigma che sempre si accompagna a ciò che nasconde la vera propria natura e non si è ancora svelato.
Esseri borderline che vivono sul margine tra il conosciuto e l’incognito, sul confine tra l’insediamento umano e la foresta, quella silva primigenia brulicante di vita da cui si dipende ma la cui presenza e la cui forza impauriscono. E non si tratta semplicemente della oziosa riproposizione di un tema caro all’immaginario medievale (così ben studiato da Le Goff), perché straordinariamente attuale e stabile è la tendenza dell'uomo a mitizzare l’ ignoto e l’incontrollabile per esorcizzare lo sgomento che esso incute.
E se solamente in Gallina dalle uova d’oro, ispirata al noto apologo sull’avidità che porta alla rovina (riassumibile nel proverbio chi troppo vuole nulla stringe), e nel fagiano colorato che abbraccia un’ampolla trasparente (simbolo dell’effimero veicolato da alcune tavole apparecchiate), la rappresentazione è puramente zoomorfa, in tutti i rimanenti lavori assistiamo al compiersi di una fantasmagorica ma terrifica ibridazione, in cui l’animale sembra assumere tratti umani e l’uomo le fattezze dell’animale, e quel conturbante enigma di cui prima si diceva trova la sua visiva e icastica rappresentazione proprio nel gesto pittorico, il quale soltanto allude all’oggetto (con una perenne inquietudine la quale si riverbera poi anche nell’ avere l’autrice elaborato più versioni di questi lavori), lo evoca e mai lo definisce con precisa nettezza di contorni. Ci si ricorderà che l’originario sostantivo greco ainìgma deriva da un verbo (ainìssomai) che significa “parlare oscuramente”, “dire copertamente”?
D’altra parte ognuno di questi lavori possiede le sue peculiarità tecnico-espressive, e se nel Ampolla con fagiano la tecnica del collage viene usata sia nel tentativo di sostanziare ancor più le masse, sia in quello di moltiplicare la gamma cromatica facendola aderire quanto più possibile al dato di realtà, il tema del Gallo da combattimento è elaborato con una velocità narrativa che gli conferisce un carattere quasi di abbozzo, in cui l'accumulazione degli elementi soggiace alla scelta a priori di uno spazio limitato che fatica ad essere abitato (contrariamente a quanto detto da Marica Rossi per la “dimensione monumentale” della tela ad olio, “superficie da vivere e non da riempire”), e lo “stile” pare essere quello “debole” intravisto da Angela Vettese nell'opera di A. R. Penck: “pittura istintiva, provocatoria e rabbiosa”.

Gallo da combattimento conosce poi lo “smembramento” dovuto all’uso del dripping e di un segno che solo nell’insistito iterarsi pare poter recuperare la forza corposa dei volumi, mentre in Gallo da combattimento II l’uso del collage (a simulare il dato di realtà della gorgiera) rimanda alla fiera ieraticità delle grandi superfici ad olio ma introduce, anche, un inaspettato segnale di forte e ironica pomposità.
Ragazzo che si volta mentre mangia rappresenta invece un momento di travagliata attesa. Riappaiono quelle umbrae che già ossessionavano l’immaginario medievale, larve mostruose e lemuri, incarnazioni del male che si aggirano di notte nascoste nell’oscurità delle tenebre, e il ragazzo, le cui fattezze animalesche alterano in modo violento e abnorme il dato di realtà, nel suo gesto che lo distoglie da un atto naturale appare in preda all’ansia e al turbamento di un’aspettativa che è anche percezione di una minaccia sconosciuta e di un pericolo incombente.
Il giudizio dell’artista è severo e non lascia spazio ad attenuanti: l’uomo decade verso lo stato ferino e progressivamente si imbestia (a voler usare un verbo dantesco), e tuttavia intorno a questa cruda e attonita rappresentazione la Targher imbastisce, in rilievo, l’immagine positiva di quegli spazi intimi e personali che forse ancora esistono e che vorremmo riuscissero a preservarci dalle contaminazioni e dal decadimento, e in tale immagine, supremo omaggio alla pietanza, il piatto straripa di stoffa fino a farsi scultura.
Come già avveniva negli antichi bestiari, anche qui, dunque, alla pura fascinazione dei mirabilia, delle immagini seducenti e strane, sono sempre sottesi, in saldissima unione, tanto dei preziosi ammaestramenti, quanto dei risentiti moniti morali.

Giovanni Battista Todeschi