Annamaria Targher. Muuu

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La recente (e completamente inedita) serie Muuu ha per tema esclusivo la mucca di razza frisona, pezzata marrone o nera, in cui le macchie ed una vera e propria diffusione “pestilenziale” del colore la fanno da padrone. Iniziata con la realizzazione di cinque lavori a tecnica mista su tela di sapore quasi astratto in cui la morfologia dell’animale è affidata al sovrapporsi concitato di elementi vagamente rotondi, la serie si chiude con cinque carte d’impronta realistica, desunte da fotografie.
Dopo essere uscita dai gangheri della vero - somiglianza, lasciandosi attrarre dal ruolo indipendente e auto – referenziale di una pullulante materia in cui il tessuto si avvicenda con il filo, l’artista si affida al rigore della riproduzione fotografica per tentare di riallacciarsi al nitore e alla verità del soggetto animale, ormai stravolto dall’entusiasmo esclusivo per il colore e la sostanza dei medium. Ciò che ne esce fa riportare decisamente indietro di anni una qualsivoglia relazione con la produzione precedente dell’autrice: nelle prime due carte, addirittura, l’artista disegna pedissequamente le mucche lasciando trasparire la costruzione del disegno (che è la fatica del ragionamento sopportato per tentare di tradurre) e negandosi a priori qualsiasi piacere insito nella divagazione. Solo successivamente, a queste si uniranno gli elementi estranei del collage a supporto più del contesto alpino (che qui appare in relazione al mutato rapporto con il dato di natura, fattosi cioè più fedele) che dell’anatomia dell’animale.
In questo Annamaria Targher si sorprende: la natura sembra parlare da sé e costituire quel tutto organico che l’artista si limita così a raccogliere e a trasporre: senza una soluzione di continuità tra l’amena presenza del mammifero e il contiguo scenario montano. Si registra un passo indietro che è anche un immobilizzarsi per cogliere e per fissare un universo nel limite addomesticato e docile della “cartolina”: l’artista si perde nella registrazione di una visione che potrebbe scadere nella zoomata idilliaca e perfettamente vuota dei “non luoghi” (già visti e riportati, nonché tutti simili tra loro), ma questo temporaneo appannarsi della coscienza rappresentativa trova una sorta di liberazione e dignità in quel legittimo stupore che porta con sé l’abbandono agli umori dell’amarcord. Ritrovarsi a casa, nel proprio ambiente non nega affatto la paura e l’imbarazzo per ciò che è stato vivo e di cui si teme la recrudescenza. Talvolta, i legami sono viscerali e conducono una certa dose d’insospettata violenza: Annamaria Targher si affida così alla fotografia, scaricata dal marasma informe della rete. Il mezzo di comunicazione per antonomasia che immette nella globalità conduce ciò che scalda: l’intimità della propria conoscenza, obnubilata dal presente e offuscata degnamente nel canone dei ricordi.