Avevo un bel pallone rosso

Teatro

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TSB Teatro Stabile di Bolzano
Avevo un bel pallone rosso
di Angela Demattè
regia Carmelo Rifici
scene Guido Buganza
costumi Margherita Baldoni
luci Lorenzo Carlucci
con Andrea Castelli, Angela Demattè

I personaggi sono Margherita “Mara” Cagol, la ragazza trentina compagna di vita e di lotta di Renato Curcio, il fondatore delle Brigate Rosse, e suo padre; Angela Demattè e Andrea Castelli gli interpreti. Parla trentino, e non solo in senso metaforico, lo spettacolo prodotto dal Teatro Stabile di Bolzano che, con questo “Avevo un bel pallone rosso” diretto da Carmelo Rìfici, prosegue il suo percorso nella drammaturgia del territorio che si propone di raccontare la storia della nostra regione.
Di Angela Demattè, autrice e attrice non ancora trentenne, è anche la scrittura teatrale che le è valsa, lo scorso anno, il Premio “Riccione per il Teatro”, il più prestigioso concorso italiano di drammaturgia contemporanea; basti dire che nell'albo d'oro vi figurano i nomi di Italo Calvino e Pier Paolo Pasolini. Bella e nobile compagnia per questa ragazza che, nata a Vigolo Vattaro, si è innamorata del teatro assistendo agli spettacoli per ragazzi e che, dopo aver mosso i primi passi in ambito amatoriale e nella compagnia scolastica del Liceo “Galilei”, è partita alla volta di Milano dove si è diplomata all'Accademia dei Filodrammatici.

“Inizialmente erano due le Margherita che intendevo raccontare - ci svela Angela Demattè - in quanto alla Cagol volevo affiancare la compagna di Fra Dolcino, Margherita da Trento. Poi la ricchezza di materiale trovato, in particolare presso la biblioteca di Rovereto, mi ha spinto a concentrarmi sulla figura di Mara. Anche perché mi interessava approfondire il rapporto fra un padre e una figlia in un momento in cui, in un ambito culturale e fra amici, si affrontava la questione della paternità e della cesura che c'è stata, in un determinato periodo storico, con i padri: necessaria per certi versi e dolorosa per altri.”
Con sullo sfondo una Trento alle prese con i primi fermenti della contestazione giovanile, il testo affronta uno snodo cruciale della storia italiana e riapre una ferita non ancora rimarginata nella nostra coscienza civile. E nel dialogo fra un padre e una figlia, si sviluppa il conflitto generazionale tra presunta saggezza della tradizione e furori giovanili.
“La domanda che mi facevo - spiega l'autrice - è come mai una donna, una ragazza, credente, cattolica, di grande sensibilità, sia arrivata a fondare le Brigate Rosse. Di lei mi ha affascinato la capacità di lottare fino in fondo; mi ha colpito quella sua cocciutaggine tutta trentina che non le ha permesso di capire i propri errori. Il racconto parte dal '65 e arriva al '75, l'anno della morte di Mara. Ci sono sette dialoghi che si alternano a parti documentali tratte dai comunicati delle BR, dai quotidiani dell'epoca, da articoli pubblicati su “Lavoro politico”, il giornale che veniva pubblicato in Università. E il dialogo segue la trasformazione del personaggio di Margherita: la metamorfosi agghiacciante di questa ragazza “per bene” che sfocia in un fanatismo che sarà, per lei, distruttivo.”
Accanto ad Angela Demattè recita, nel ruolo del padre, Andrea Castelli che così ricorda il suo Sessantotto: “Erano anni di grande fermento, di grandi speranze. Avevo 18 anni e pensavo di far parte di quella generazione che il mondo da secoli attendeva. Finalmente eravamo arrivati noi a risolvere tutti i problemi! Non fu così, ma abbiamo comunque vissuto un periodo di grandi trasformazioni, erano tempi in cui si vedeva un futuro.”

In contrasto con la lingua “ideologica” di Margherita, il padre si esprime in dialetto trentino e l'uso della parlata locale contribuisce a dare al dialogo una singolare consistenza teatrale e favorisce lo svilupparsi della comunicazione familiare. “Ho trovato - ci dice Castelli - un regista straordinario, che guarda al dialetto come anch'io ho sempre pensato: non come un fine, ma come un mezzo. Chi ascolta questa storia, dopo pochi minuti finisce col dimenticare che io parlo il dialetto, perché il linguaggio di questo testo non è standardizzato, ma elaborato come linguaggio teatrale. Giocata su questa comprensione, la parlata dialettale perde connotazione e, in questo dialogo di lacerazione fra il padre e la figlia, assume un grande spessore.”
“Avevo un bel pallone rosso”, potrebbe essere il titolo giocoso di uno spettacolo per ragazzi. Ma la storia di Mara è stata tutt'altro. “Ho conosciuto la sorella di Margherita - ci racconta ancora Angela Demattè - che abita a Fiera di Primiero e ne conserva tutti i ricordi. In uno dei biglietti che, da bambina, aveva scritto alla mamma, erano riportate le parole di una filastrocca: «Avevo un bel pallone rosso e blu, che era la gioia e la delizia mia. S'è rotto il filo e m'è è scappato via; in alto, in alto, su, sempre più su. Son fortunati in cielo i bimbi buoni, volan tutti lassù quei bei palloni...» C'è, in queste parole, un anelito verso una giustizia o una possibilità di felicità per tutti che Margherita, in qualche modo, cercava.

Le rappresentazioni di “Avevo un bel pallone rosso”, in calendario al Teatro “Cuminetti” lunedì 29 novembre (fuori abbonamento), martedì 30 e mercoledì 1 dicembre, saranno precedute, nella giornata di martedì 23 novembre, dall'incontro di approfondimento “Theatrum Philosophicum”, laboratorio critico curato, in collaborazione con il Centro Santa Chiara, dalla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Trento e rivolto, oltre che agli studenti, a tutte le persone interessate al teatro e alla comunicazione culturale. Interverranno, oltre ad Angela Demattè e Andrea Castelli, due testimoni privilegiati delle lotte studentesche che, sul finire degli anni Sessanta, portarono Trento alla ribalta delle cronache nazionali: il giornalista e sociologo Marco Boato e Paolo Sorbi, noto per il suo “contro-quaresimale” in Duomo e oggi docente all'Università Europea di Roma. Appuntamento alle 16,30 nel Ridotto del Teatro Sociale.


organizzazione: Centro Servizi Culturali S. Chiara