Baratieri, Mussolini e la regina Taytu. Scene di guerre africane nei dipinti popolari etiopici

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Il destino della regina Taytu, del generale Baratieri, di Menelik, del re Teodoro (Tewodros), di Haylè Selassiè e di tanti altri personaggi delle vicende coloniali italiane, protagonisti di alcune delle pagine tragiche della storia "africana" del nostro paese, è stato anche quello di galleggiare come fi-gure fantasmatiche nell'atmosfera leggera del costume italiano della prima metà del secolo scorso ("rovina della gioventù" diceva della regina Taytù una canzoncina di tanti anni fa). Sul crinale tra la banalizzazione dell'Italia in Africa (dove "siamo andati a far le strade al Negus") e la rimozione di un'avventura breve e poco gloriosa, sovrani africani e generali italiani sono stati spesso ridotti a macchiette di una recita non di rado venata di razzismo.

Ciò che invece pochi sanno - al di fuori della ristretta cerchia degli storici, degli antropologi e dei cultori delle tradizioni e delle arti africane - è che nel panorama culturale etiopico è presente da molto tempo una fiorente tradizione artistica, che si esprime in dipinti di grandi dimensioni, dedi-cata alla rappresentazione, da un punto di vista africano, delle guerre contro gli italiani. La loro pro-duzione, sollecitata anche da una committenza occidentale, è documentata lungo tutto il secolo scorso ed ha avuto come motore e motivo ispiratore principale la battaglia di Adua che, il 1° marzo 1896, vide la disfatta dell'esercito del generale Baratieri ad opera delle formazioni armate di Mene-lik: la più grave sconfitta militare subita da una nazione europea ad opera di popolazioni "coloniali".

Nonostante la relativa diffusione di questa produzione pittorica, assai raramente si è avuto la possi-bilità di vederne una significativa selezione. Per questo, la mostra allestita dal Museo Storico Ita-liano della Guerra di Rovereto, che offre l'opportunità di vedere 12 dipinti etiopici raffiguranti scene di guerre africane, si segnala come un evento espositivo piuttosto eccezionale. Sono esposti dipinti la cui lunghezza oscilla tra il metro e i tre metri e mezzo, coloratissimi e affollati di personaggi e di situazioni, opera di autori spesso ignoti. Tra le vicende più ampiamente "narrate" vi sono in primo luogo Adua, ma anche le guerre condotte nella seconda metà dell'800 da re Tewodros, la battaglia di Sagalè del 1916 e la battaglia di Mai Ceu, che nel marzo 1936 segnò la fine delle armate di Haylè Selassie.

Come ogni tradizione culturale, anche la pittura etiopica segue precisi canoni e l'osservazione dei dipinti richiede la conoscenza di alcune regole. Così, ad esempio, se la battaglia ha costituito l'og-getto prevalente delle rappresentazioni richieste dagli occidentali, la raffigurazione dei soggetti ap-pare condizionata da elementi simbolici stereotipati - e non da verosimiglianza o da analisi psicolo-gica. Questo spiega perché gli europei appaiano sempre in uniforme, a cavallo, nell’esercizio delle funzioni che ne manifestano il ruolo sociale.
Ancora: la prospettiva è sempre assente e l’esistenza di un approssimativo punto di fuga non com-porta la conseguente riduzione proporzionale delle dimensioni. In particolare, la raffigurazione dei personaggi appare solitamente di profilo, con un solo occhio visibile se si tratta del «nemico» o del «malvagio», mentre quella a pieno volto, ed in ogni caso con i due occhi visibili, è riservata all’«etiopico» o al «buono». Appartiene alla tradizione consolidata anche la disposizione degli etio-pici a sinistra e dei nemici a destra.

Nella mostra i dipinti esposti sono introdotti da note di inquadramento storico e sono accompagnati da un apparato di didascalie che fornisce sia la traduzione delle numerose scritte in lingua amara presenti sulle tele, sia un filo conduttore per identificare i personaggi rappresentati.


organizzazione: Museo Storico Italiano della Guerra - contributo dell’Assessorato alle Attività Culturali della Provincia Autonoma di Trento e della Cassa Rurale di Rovereto