Bocephus King & Band
Concerto del re del blues, che propone qui una miscela di rock, country, jazz e blues
Bocephus King è un giocatore dazzardo, ha bisogno di rischiare tutto ad ogni disco, ad ogni canzone. E, come per ogni gambler che si rispetti, ad attirare non è la vincita della posta in palio, ma la giocata successiva, il brivido che viene dallincertezza del rischio.
In questi tre anni, invece di smettere, si è buttato ancora più nella spirale del gioco, insoddisfatto di un suono che era già un affronto al mainstream e agli abitudinari del rock. Così ha abbandonato i Rigalattos, ha raccolto tutto ciò che gli era rimasto dello swing/blues/vaudeville/canzone dautore degli album precedenti e ha seguito listinto.
All children believe in heaven è un disco che nessuno si aspettava, enorme, come il suo autore, fisicamente e musicalmente: Bocephus ha fatto le sue mosse con lastuzia consumata e con lo sguardo cinico del giocatore incallito. Attorno un mondo che si è caricato di confusione e di incertezze: personaggi di dubbia onestà si succedono al tavolo, predatori e prede spasimano per un colpo di fortuna. Bocephus li guarda con un sorriso ironico, senza perdere di vista landamento del gioco.
Non siamo a Broadway, non siamo ad Hollywood, né tantomeno in un casinò, luoghi ormai troppo artefatti, troppo conservatori, in cui fantasia e follia non sono ammesse. Questa è Chinatown: luci e colori sgargianti, un nuovo melting-pot in cui le razze non si distinguono, in cui le tradizioni spasimano per il moderno.
Bocephus è attratto dai banchetti di scommettitori in bilico tra il marciapiede e la strada, fa le sue puntate al tempo della musica orientale che viene dai locali, arraffa le ultime trovate tecnologiche dalle vetrine, si fa ammaliare dai sapori più disparati.
Ne deriva una musica che è un infuso dal sapore intenso, che farà storcere il naso a qualcuno: samples ed effetti elettronici si aggirano nel disco, diventando parte integrante delle canzoni, ma è soprattutto un nuovo gusto ad alterare il soul, a dilatarlo con una gamma di strumenti che vanno dal synth allomnichord, dallo xilofono alle campane, dallorgano alla mandola.
Bocephus azzarda una forma di canzone dautore sperimentale: la sua voce è ancora padrona, i cori tirano i pezzi con veemenza, mentre in fase di composizione e di arrangiamento cè unesuberanza nuova, evidente sin dai dieci minuti delliniziale St. Hallelujah. Niente è tratttenuto: il rock teso di Wreck of the century subisce la spinta di samples concentrici, i brani più soul vengono speziati, caramellati o messi in agrodolce.
Non cè pietà per nessuno: le melodie sanguinano / i messaggeri sono maledetti / i debuttanti sono sbattuti fuori. Dylan e Tom Waits sono portati allennesima potenza fino a scomparire, Johnny Cash è un fantasma che si aggira dietro They love each other e Muddy Waters, che recita blues allangolo della strada, è solo una delle tante comparse.
Nonostante le ninnananne di Lullaby blues e Stella bella blue, il mondo è votato allautodistruzione: Bocephus sa che oggi il rock è una questione di sopravvivenza più che di salvezza, e questo disco è il suo survival trip.
Lazzardo finale è uno strumentale folk-blues con riflessi del Sol Levante e luccichii elettronici. Sembra un paraddosso, ma è perfettamente logico: lunico modo per uscire da questo gioco, è continuare a puntare. Bocephus lha capito e rischia di diventare una delle voci più creative di questo pazzo millennio.
Christian Verzeletti
da web.tiscali.it/qmagico/bocephus2.htm
organizzazione: Woody Music