Buongiorno, notte

Cinema

Italia, 2003
Titolo originale: Buongiorno, notte
Durata: 105'
Genere: Storico
Regia: Marco Bellocchio
Cast: Maya Sansa, Luigi Lo Cascio, Pier Giorgio Bellocchio, Giovanni Calcagno, Paolo Briguglia

Ispirato da 'Il priogioniero' di Anna Laura Braghetti.
Chiara, giovane terrorista appartenente alla lotta armata, è coinvolta nel sequestro Moro. Attraverso il suo sguardo prende corpo il complesso mondo degli "anni di piombo", disperatamente fiducioso nell’avvento della rivoluzione e intrappolato nei rituali della clandestinità. Di contro è chiamata a vivere la normalità del quotidiano con i suoi ritmi di sempre...
Presentato in concorso alla 60ª Mostra del Cinema di Venezia (2003), dove Marco Bellocchio ha ricevuto - per la sceneggiatura - il premio per un contributo artistico individuale di particolare rilievo e Roberto Herlitzka e Maya Sansa il "Premio Francesco Pasinetti 2003" per la migliore interpretazione.

di Marco Luceri
Marco Bellocchio ha voluto dedicare a suo padre Buongiorno, notte, il film sul caso Moro che aveva in mente già da tempo e che costituisce per lui un ritorno alla tematica più strettamente storica rispetto al precedente L'ora di religione. L'analisi della fenomenologia sociale contemporanea anche questa volta parte da una pagina dolorosa della nostra storia per astrarsi in un discorso più generale ed attento sull'uomo e sulla sua capacità di relazionarsi con l'esterno e la società stessa.
Ispirato al memoriale Il prigioniero di Anna Laura Braghetti, il film narra i cinquantacinque giorni di prigionia dell'allora Presidente del Consiglio e leader della Democrazia Cristiana Aldo Moro, sequestrato a Roma dalle Brigate Rosse il 16 marzo 1978 e in seguito assassinato il 9 maggio dello stesso anno. Profondamente diverso dai precedenti film che avevano già messo in scena questo tragico evento (Il caso Moro di Giuseppe Ferrara ad esempio), Buongiorno, notte ripropone molti degli stilemi cinematografici del Bellocchio regista rivoluzionario, scorretto, corrosivo che fin qui abbiamo conosciuto.
Evitando molto intelligentemente di cadere nelle maglie della dietrologia, del facile complottismo, Bellocchio ci racconta sottilmente una storia tutto sommato logisticamente intima: una finta coppia di giovani sposi che affittano un appartamento: servirà da rifugio per i loro compagni terroristi, nonché da luogo di detenzione dell'illustre prigioniero. Da subito quindi il regista piacentino scopre le carte: un lungo insistente e lento piano sequenza ci presenta questo ambiente chiuso, oscuro, spesso claustrofobico, da cui la scena si sposterà pochissime volte. Gli interni domestici ritornano allora come ne I pugni in tasca o in Marcia trionfale a chiudere i protagonisti in una sorta di isolamento in cui si fanno esplodere le contraddizioni della loro stessa esistenza.
L'alternanza interno/esterno su cui è concepita tale chiusura riflette da una parte l'angoscia per la società così strutturata e dall'altro il desiderio irrefrenabile di rompere le mura ed uscirne fuori. Una sorta di scatola cinese in cui ogni esterno è un interno e viceversa, una gabbia che chiude ed allontana i personaggi nel loro solipsismo. Infatti in questo film il mondo esterno entra solamente attraverso i telegiornali televisivi o la lettura dei quotidiani, citati fedelmente nella ricostruzione, ed esso diventa, più che una voce della realtà, una semplice eco che risuona tetra e lontana. Anche questo produce nello spettatore quel senso di profonda interiorizzazione della vicenda che è propria soprattutto del personaggio di Chiara (Maya Sansa).
Chiara è Bellocchio stesso, cioè lo sguardo del regista sulla scena ed infatti essa si muove negli ambienti e nei meccanismi narrativi come un'altra macchina da presa; non è un caso che Bellocchio identifichi il suo approccio visivo con gli occhi di una donna (in questo caso l'unica): essa, come nei precedenti film, garantisce quella alterità necessaria che è presupposto irrinunciabile alla conoscenza dei meccanismi messi in scena e dunque della realtà stessa. Ecco perché anche Buongiorno, notte è un film sulla differenza. A tal proposito Chiara e Moro (Roberto Herlizka) sono da un'altra parte rispetto agli altri tre sequestratori. Ciò che i due guardano, cioè il loro rapporto con la realtà oggettuale avviene nell'ombra, nella precarietà: essi guardano negli spioncini delle porte, tra le fessure socchiuse, con i primi piani dei loro occhi tagliati spesso da una luce che infonde intensità emotiva. E' il tipico sguardo rubato di Bellocchio, la forza primitiva che concerne al suo modo di essere un grande maestro nella resa, attraverso gli artifici propri del cinema, di tutte quelle pulsioni inconsce, sconosciute e prepotenti che premono per uscire fuori dall'interno oppressivo della struttura sociale della famiglia e dell'io.
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organizzazione: Associazione culturale Mercurio