C'era un'orchestra ad Auschwitz

Teatro

Il Museo storico in Trento in occasione della Giornata della memoria, istituita con legge dello stato per ricordare l'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, propone per lunedì 31 gennaio lo spettacolo spettacolo di teatro civile "C’era un'orchestra ad Auschwitz" prodotto dalla compagnia teatrale Alma Rosè.
Lo spettacolo, RISERVATO AGLI STUDENTI DELLE SCUOLE SUPERIORI DI TRENTO, trae ispirazione dal libro di Fania Fenélon e testimonia la detenzione nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau dal gennaio 1944 alla fine della guerra.
La messa in scena è incentrata sul rapporto tra due musiciste e il loro diverso modo di vivere il lager e la necessità di fare musica per sopravvivere e “far sapere al mondo”.

C’ERA UN’ ORCHESTRA AD AUSCHWITZ
(liberamente ispirata al diario di Fania Fénelon)
Con Annabella Di Costanzo e Elena Lolli

Quando Fania Fenélon fu deportata ad Auschwitz era il Gennaio del ’44 e poiché sapeva cantare e suonare il pianoforte, entrò a far parte dell’orchestra femminile del campo, l’unica orchestra femminile mai esistita in tutti i campi di concentramento della Germania e dei territori occupati.
Voluta da Hoss, maggiore delle SS, l’orchestra, composta da prigioniere, aveva il compito di accompagnare le detenute al lavoro, “accogliere” ogni nuovo arrivo di deportati, e suonare per gli ufficiali SS ogni qualvolta lo richiedessero.
Erano in 47 “le signore dell’orchestra”, come Fania racconterà nel suo diario “Ad Auschwitz c’era un’orchestra”, scritto molto più tardi, dopo la sua liberazione. Provenienti da ogni parte, ficcate in uno spazio ristretto, una vecchia baracca vici-
no alle ferrovia nel punto in cui arrivavano i convogli di deportati, le orchestrali erano costrette a prove estenuanti per potere suonare dignitosamente, perché solo così sarebbero state risparmiate alla selezione per la camera a gas.
Durante tutto il tempo della sua detenzione, Fania lotta duramente per sopravvivere senza mai perdere la propria umanità, e pensando che sopravvivere è anche ricordare “per fare sapere al mondo”.
Fra tutti gli incontri avvenuti nel campo, il più singolare è quello con Alma Rosé, eccezionale violinista ebrea, nipote di Gustav Mahler e direttrice dell’orchestra.
Il rapporto che nasce tra le due musiciste mette in luce il loro diverso modo di vivere il lager e la necessità di fare musica.
Per Fania, infatti, suonare è un mezzo per sopravvivere e sopravvivere è testimoniare.
Anche in una condizione estrema Fania riesce a mantenere intatta la propria umanità: sa di suonare e cantare una musica “che è la cosa migliore ad Auschwitz-Birkenau in quanto procura oblio e divora il tempo, ma è anche la peggiore perché ha un pubblico di assassini”.
Per Alma la musica è un fine, il fine su cui ha costruito la propria identità di tutta una vita e nulla le importa più se non fare bene il proprio lavoro e realizzare musiche sublimi, disinteressandosi degli effetti collaterali delle proprie azioni.
Ripercorrendo il diario di Fania, diamo vita alle sue parole alternando alla lettura alcuni momenti recitati (tratti dallo spettacolo “Alma Rosé”, vincitore Premio ETI Scenario 96/97) che rappresentano i dialoghi più significativi fra Fania e Alma. Ci accompagnano, inoltre, alcune musiche che fanno parte di quel repertorio che era il preferito degli ufficiali tedeschi, capaci di commuoversi all’ascolto di una Madama Butterfly e subito dopo di mandare dei prigionieri alle camere a gas.


organizzazione: Museo Storico in Trento