Calligrafia giapponese

Mostra

In mostra Shotei Ibata e Suikei Yoshioka

La calligrafia giapponese ha avuto sull’arte occidentale del Novecento una particolare e persistente considerazione. Più in generale, la pratica dell’arte calligrafica dell’Estremo Oriente ha dato seguito a talune nuove categorie estetiche strettamente correlate alle tendenze non figurative della pittura europea ed extraeuropea. Ed è dal fondo di queste particolari esperienze che una nuova strada si delinea apertamente nella prima metà del XX secolo, attraverso il concetto di “segno”, volta al recupero di una visione “altra” dell’esperienza umana. Di fatto l’artista, nel tentativo di oltrepassare la tradizionale impostazione metafisica e scientifica della realtà, demanda alla pratica della pittura calligrafica la necessità di cogliere una nuova “rivelazione”, “trasfigurazione” dell’essere dell’uomo, grazie anche alle sollecitazioni di alcune dottrine e discipline orientali. La ricerca di artisti come Tobey, Kline, Matthieu,Wolf, Hartung, Capogrossi, Accardi, conduce ad alterare in assoluto la funzione semantica del sistema linguistico dell’ideogramma.
In tali attività prevale una poetica che attribuisce al segno calligrafico il solo valore di “significante”, quale configurazione “vitale” e concreta della forma, il cui significato primogenio rimane negato. È un cammino questo che conduce il pensiero e la pratica artistica a trovare nei segni il “corpo” della scrittura, il “principio“ (“archè” o l’“anima” secondo la denominazione metafisica), quale qualità materiale di cui si compongono tutti i nostri sensi, dove nulla ancora è significato, ma che è la condizione di ogni possibile significazione (immagine mentale). In questa luce, le esperienze legate alla calligrafia, secondo trame simboliche che coinvolgono il nostro vivere, conducono alla teoria del segno che contiene implicitamente un rimandare di qualcosa a qualcos’altro ed è altra cosa da ciò che rappresenta. Anzi, è piuttosto ciò che è possibile cogliere dal nostro essere, secondo una immagine primaria che si potrebbe riconoscere in una sorta di “sintesi originaria” che si fa presente non avendo ancora sintesi di senso e unità di forma. Tale sintesi originaria (utilizzando il termine coniato da J. Derrida) prende il nome di “archi-scrittura” o “archi-traccia”. Detto in altri termini, tutta questa particolare produzione artistica, aperta all’appagatività del segno-calligrafia, riveste essa stessa la qualità di mezzo e pertanto non è tematizzata. Tuttavia in forza dell’esperienza introspettiva sull’essere, il latente, il nascosto si manifesta. Ciò significa che i segni-tracce illuminano l’essere e rappresentano il luogo dal quale, nel suo darsi corpo, il pensiero creativo si rende libero di immaginare o negare il mondo.

Evento organizzato dall’istituto d’arte "A. Vittoria" e dal liceo musicale "F.A. Bonporti" di Trento in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni librari, archivistici e archeologici della PAT


organizzazione: Istituto di Istruzione delle Arti “A. Vittoria” Trento - liceo musicale "F.A. Bonporti" di Trento