Cercando altrove

Personale dell'artista Stefano Maraner, a cura di Annamaria Targher 

Mostra
La pozza, tencica mista, legno, foglia d'oro, 77,5x8,5cm

Si inaugura domenica 30 luglio, alle ore 17.00, presso quello che oramai è diventato a tutti gli effetti un polo culturale di grande suggestione e attività, Il Masetto di Terragnolo, la nuova e tanto attesa personale dell’artista Stefano Maraner.
Partito da una profonda riflessione, con conseguente ed inevitabile sovrapposizione alla propria vicenda personale, intorno ad As bestas, la pellicola che la critica ha definito un trattato per immagini su opposte visioni del mondo che si trasformano in una lotta per la sopravvivenza, lo scultore appronta quella che può essere definita come una indagine attorno alla propria identità spaesata, in cerca di conferme, ed attuata, secondo ieratici procedimenti o intuizioni.
Il cerchio, trasposto nella sua terza dimensione, ritorna per aderire e assestarsi nell’alveo di una tipologia di ricerca che, accompagnata da una sorta di rarefazione, ambisce sempre più all’astrazione pura, all’arte come manifestazione estetica conchiusa, simbolica, imperturbabile e dall’alto indice spirituale. A sostegno, le mosse, gli interventi progrediscono calmi e sicuri verso una progressiva semplificazione, dove la natura stessa dei materiali non può che ergersi, splendere ancor più, sola, sé stante, bastante e quasi in una collocazione dualistica, affatto semplicistica, ma atta ad attirare a sé tutta la potenza evocatica insita nel linguaggio visivo. Legno di sambuco e foglia oro. La selva e la nicchia. Il bosco poderoso e la cripta sacrale dove ripararsi. I rami, sempre visti in sezione e svuotati della loro essenza, sorreggono la forza centrifuga e centripeta, di allontanamento e ritorno al nerbo interrogante ed esistenziale.
In quest’ottica, non di chiusura, ma di chiara e potente definizione autoriale, nonché di appartenenza specifica, si inserisce la recente esigenza di denominare le proprie opere pescando nell’offerta del dialetto cimbro antico, quello parlato dalle genti nel posto in cui Stefano ama ed ambisce rifondarsi, lì vivendo: Nosellari di Folgaria.
Nella sala ristorante, i bellissimi pezzi di design, ancora inediti, tradiscono nel titolo Esperimenti, qualcosa che l’autore considera liminalmente, alla stregua di semplici esercizi effimeri di bottega. Sono, invece, pezzi di poesia autentica e, nient’affatto paradossalmente, alcuni richiamano, per procedimento mimetico, oggetti in uso nella casa: quella casa venerabile che ruota attorno al perno caldo e pregnante del focolare. Il loro sontuoso ed elegante intreccio geometrico è quello che l’industria è solita proporre nei colorati sottopentola, ad esempio; Maraner dimostra di non avere affatto paura, nella sua concezione che è tutto fuorché dimessa e sprovveduta, di coniugare sacro e profano in quella coincidenza che sa solo di naturalezza al pari di quella che si sussegue, senza straniamento, nel ciclo della vita.
Subentra ancora il bel legno di vitalba come negli esordi, non nella soluzione dei rami portanti che riportano le cicatrici della potatura dei secondari, ma impiegato nella sezione di testa. Si adagia, così, nelle sembianze di sontuosi ventagli che, nell’ordinata e semplice accumulazione, sortiscono effetti caleidoscopici di vivo interesse e pregnanza. Sono ancora giocosi, ma portano anche con loro quella densità raffinata di incastri solenni, fondativi, ancestrali, qualora sposino la foglia oro o, negli ultimissimi lavori, l’argento che, accanto al materiale incorruttibile per eccellenza, veicola l’ambito lunare, stralunato e cangiante del femminile, ma diviene anche specchio pressoché perfetto, sostenendo, ancora una volta, l’interpellanza nei confronti dello spettatore: o dell’autore, spettatore di sé stesso e del suo ritrovarsi.