Di notte, da sessant'anni, cerco di ricordarmi gli oggetti del Lager

Convegno

Di“Di notte, da sessant'anni, cerco di ricordarmi gli oggetti del Lager”
Il destino di Oskar Pastior nell’Altalena del respiro di Herta Müller

Mercoledi 16 febbraio 2011, alle 17,30, a Trento, nella Sala Rosa della Regione Autonoma Trentino Alto-Adige (Piazza Dante) il Centro Studi sulla Storia dell’Europa Orientale organizza l’incontro-dibattito “Di notte, da sessant'anni, cerco di ricordarmi gli oggetti del Lager”. Il destino di Oskar Pastior nell’Altalena del respiro di Herta Müller. Interviene Fabrizio Cambi. Introduce Fernando Orlandi.

Il 15 gennaio del 1945, alle 3 di notte, due poliziotti prelevano a Hermannstadt in Transilvania il diciassettenne rumeno tedesco Leopold Auberg per deportarlo, insieme a diverse decine di migliaia di abitanti della minoranza tedesca in Romania, in uno dei 216 campi di prigionia e di lavoro sparsi nell’Unione Sovietica come “contributo” riparatore alla ricostruzione del paese socialista dopo aver sconfitto il Nazionalsocialismo. L’inizio del romanzo L’altalena del respiro (Feltrinelli) di Herta Müller, premio Nobel in quello stesso anno per il magistrale apporto nell’aver “rappresentato i paesaggi di chi non ha patria con la concentrazione della poesia e l’oggettività della prosa”, è l’inizio di un calvario di presunti carnefici, marchiati doppiamente dalla storia perché di origine tedesca e costretti nel 1940 dal generale fascista Ion Antonescu ad aderire al Terzo Reich.
Il protagonista ed io narrante del romanzo, che nell’incoscienza giovanile crede con la sua partenza forzata di cambiare aria e nel fondo della valigia ripone oltre a “quattro libri: il Faust rilegato in tela, Zarathustra, il sottile Weinheber e l’antologia di otto secoli di poesia” un po’ di sapone e qualche camicia, registra in 64 capitoli l’inferno del lager, torturato dall’angelo e dal terrore della fame, aggrappandosi con tutte le sue forze alle cose della sopravvivenza: “I miei oggetti preziosi sono zucchero e sale. Sotto il cuscino c’è il mio pezzo di pane secco, avanzato dalla bocca (…) Per l’intero Faust rilegato in tela, Peter Schiel mi ha fatto un pettine di latta per i pidocchi, tutto mio”. Nella fiction del romanzo, in cui la degradazione e la tragica lotta per la sopravvivenza sono impietosamente descritte e visualizzate in una lingua scabra, perché “il lager è un mondo pragmatico”, e immaginifica che tutto registra e al tempo stesso tutto sembra poter redimere, la memoria quasi supera la storia, in realtà la integra. Nel perimetro di un lager, nei suoi sconfinamenti nelle cave e nelle fornaci, si indaga ‘poeticamente’ il tragico e spesso accantonato fenomeno di “rimbalzo” della deportazione-espulsione delle popolazioni germanofone nei vari paesi dell’Europa Orientale. Nel Lager-Buch di Herta Müller la storia, di per sé in apparenza assente, si recupera nei nomi dei personaggi e delle terre d’origine, ricomponendo un mosaico di vicende che dalla prima guerra mondiale ci portano al presente.

La fiction del romanzo svela la sua realtà biografica perché il deportato, di cui si descrivono i cinque anni di prigionia, è il poeta tedesco-rumeno Oskar Pastior (1927-2006), internato fino al 1949 nel campo di Donbass, con il quale la Müller intendeva ricucire letterariamente a quattro mani i ricordi di quel tempo, rinvigoriti e verificati dal comune viaggio nei lager ucraini di Kriwoj Rog e di Gorlowka. La morte improvvisa dell’affermato poeta sperimentalista, membro dell’Oulipo con Quenau, Calvino e Pennac, pochi giorni prima del conferimento del Georg-Büchner-Preis nell’ottobre 2006, lascia la Müller da sola nella stesura del romanzo che scrive anche per profonda amicizia e gratitudine nei suoi confronti.
Ma la maledizione del secolo breve appena trascorso non sembra avere fine. È notizia recente che Oskar Pastior dal 1961 al 1968 è stato, con il nome di copertura di Otto Stein, informatore della polizia segreta rumena della Securitate. Al doloroso sconcerto iniziale della Müller e al suo successivo riserbo fa tutt’oggi riscontro un dibattito acceso e spesso avvelenato nel mondo culturale tedesco riattizzando la discussione sulla colpa, il tradimento e la dirittura morale nell’epoca del totalitarismo. Chi è stato in realtà Oskar Pastior e perché accettò di sottoscrivere (atto della Securitate R 249.556) una dichiarazione di forte collaborazione spionistica per i servizi segreti e quali informazioni trasmise sugli scrittori ‘scomodi’? Ma fu veramente un informatore?
Sembra che la valigia portata dal protagonista dell’Altalena del respiro sia diventata il “veleno nella valigia” come ha titolato lo Spiegel del 17 gennaio scorso. Di questi intrighi Müller ha dato del resto sempre forte testimonianza come in Cristina e il suo doppio (Sellerio): “È noto che i Servizi segreti di Ceausescu non sono stati sciolti, ma hanno soltanto cambiato nome, la Securitate adesso si chiama Sri, il quale, per sua stessa ammissione, ha rilevato il 40 per cento del personale precedente”. Oskar Pastior sembra diventare ulteriormente una vittima e ancora più intenso ed esorcizzante appare, con il suo romanzo, il tributo della Müller nei suoi confronti: “Di notte, da sessant’anni, cerco di ricordarmi gli oggetti del Lager. Sono il contenuto della mia valigia notturna. Dal mio ritorno a casa la notte insonne è una valigia di pelle nera. E questa valigia è nella mia fronte”.
Questi temi verranno affrontati da Fabrizio Cambi (germanista dell’Università di Trento) nell’incontro-dibattito che si terrà mercoledi 16 febbraio 2011, alle 17,30, a Trento, nella Sala Sala Rosa della Regione Autonoma Trentino Alto-Adige (Piazza Dante)


organizzazione: Centro Studi sulla Storia dell'Europa Orientale