Dionisio

Teatro

Teatro del Lemming
Sinossi del mito come riportato da Euripide ne "Le baccanti"
Ritornato come straniero alla città che lo ha visto nascere, Tebe, Dioniso (figlio di Zeus e della mortale Semele, figlia a sua volta del fondatore della città, Cadmo) è ripudiato dal giovane re Penteo (cugino di Dioniso), che scorge nel culto orgiastico introdotto dal dio un pericolo per l’etica e l’ordine pubblico. Dioniso stesso è arrestato In seguito il dio seduce Penteo e lo guida sul monte Citerone affinché possa soddisfare la propria brama di spiare di nascosto, senza essere visto, le orge delle Baccanti . Ma Penteo è scoperto e fatto a brani dalla madre Agave e dalle compagne di lei possedute dal dio. La terribile vendetta del dio è compiuta.

Forse non è un caso che "Le Baccanti" di Euripide si configuri come l’ultima delle grandi tragedie che ci sono rimaste. Per certi aspetti essa si pone come fine di un genere, e più in generale di un pensiero (quello tragico appunto), ma anche come inizio di quella diversa visione del mondo che sta alla base della tradizione che conduce fino ad oggi e a quel che rimane del teatro moderno. Implicitamente, mettendo in scena come protagonista lo stesso dio del teatro - Dioniso, essa si pone come riflessione sullo stesso statuto di teatralità, sulla sua crisi, sulla sua impossibilità. Il teatro, sotto il segno di Dioniso, si configurava essenzialmente come una relazione fondata sulla reciprocità ("io ti vedo mentre tu mi vedi"), come rito collettivo il cui telos era quello di giungere ad una comunione-dispersione delle soggettività, a favore di una osmosi col divino, col tutto. Questa relazione si dà invece come impossibilità ne "Le Baccanti". La relazione è qui oppositiva, lo sguardo si fa distaccato, vojeuristico e ciò rende impossibile ogni reciprocità, ogni tensione ad una reale unione. Le tensioni si polarizzano senza dar luogo a nessuna congiunzione. Agave e Penteo sono madre e figlio. Accomunati dalla stessa hybris che infondo consiste nel non riconoscimento del proprio lato numinoso (Dioniso era un loro stretto consanguineo). Fra l’isteria della menade Agave che giunge a non riconoscere il figlio e a sbranarlo, e il presunto bisogno di ordine razionale di Penteo che giunge a desiderare di vedere senza essere visto (prototipo dello spettatore moderno) quelle che per lui sono solo agognate sconcezze erotiche, c’è una uguaglianza di segni: entrambi sono strumenti inconsapevoli della vendetta del dio. Pensare a uno spettacolo su "Le Baccanti" significa ridurre il dionisiaco soltanto al lato oscuramente irrisolto della sua natura. DIONISO e PENTEO non può essere così uno spettacolo compiutamente e felicemente dionisiaco, perché qui esso potrà manifestarsi soltanto come vendetta. Vendetta contro attori e spettatori, polarizzati in uno statuto che, per quanto potrà apparire abolito, verrà riaffermato proprio mentre sembrerà capovolgersi. Si aboliscano le barriere solo per ripristinarle con più forza, i confini che sembrano dissolti sono sempre stati lì - era solo la nostra vista ad essersi offuscata. La distorsione relazionale - che qui porta al suo dissolvimento completo - nasce dal rifiuto di riconoscere l’altro in noi, dal rifiuto e dalla negazione dei nostri istinti e desideri profondi che tornano a sbranarci non appena rifiutiamo di riconoscerli come tali. In questo senso, il rapporto attori-spettatori si fa mimetico di rapporti esperiti sempre più spesso nelle relazioni col mondo che si stabiliscono appunto sotto il segno dell’opposizione e del non riconoscimento


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