Festa del Rione Turchia

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Un paradiso, quello di Moena, bagnato dal torrente Avisio, dal rio Peniola e dal rio San Pellegrino, abitato dall’antica e nobile gente ladina la cui gentilezza è pari all’ospitalità che l’anima, e caratterizzata dalla presenza, all’interno del centro abitato, di una particolarità inaspettata e per questo doppiamente sorprendente: il “rione Turchia” che sembra debba il suo nome ad un turco sbandato all’indomani dell’assedio di Vienna da parte degli ottomani. La dottoressa Maria Piccolin, bibliotecaria del Comune di Moena, spiega che vari storici e cultori di tradizioni locali hanno provato a ritrovare l’origine di un così inusuale e curioso toponimo. Le conclusioni, però, sono piuttosto discordanti, proponendo alcuni una derivazione da “torchia”, cioè il luogo in cui si torceva il lino, altri interpretando invece alla lettera, ricordando appunto la leggenda del soldato turco.
Questo personaggio, tanto caro all’immaginario collettivo degli abitanti di Moena, era uno dei circa trecentomila soldati dell’armata turca che nel 1683 assediò per la seconda volta la capitale austriaca (il primo assedio risale al 1529).
Narra la leggenda che egli fu catturato, ma che poi riuscì a fuggire alla prigionia degli imperiali e che, dopo un lungo girovagare e innumerevoli peripezie, giunse a Moena ormai allo stremo delle forze, dove venne generosamente soccorso. Colpito e commosso dall’altruismo della gente locale, il turco decise di fermarsi definitivamente nel delizioso paesino e andò ad abitare proprio in quel rione, detto allora genericamente “Ischiazza” (toponimo comune a tutto il Trentino
ad indicare un luogo paludoso).
I documenti dell’archivio storico del Comune di Moena, numerosi già a partire dal XVIII secolo, citano per la prima volta il toponimo “alla turca” nel 1827, mentre la forma “Turchia” fa la sua prima comparsa nel 1861; nel 1876 si fa riferimento alla “contrada detta Turchia”. Resta comunque il fatto che, passeggiando per le stradine ed i vicoli del rione, villeggianti e turisti restino di stucco nel trovarsi di fronte ad una fontana pubblica sormontata dall’immagine di un turco, con tanto di barba, turbante e mezzaluna. O nel vedere la targa stradale che segnala via Damiano Chiesa, con l’aggiunta della parola “Turchia”. O nel sorprendere, tra i vari affreschi che abbelliscono le facciate delle case, un dipinto che ritrae un sultano con servi e mogli, ed un altro in cui si vede una coppia turca su un tappeto circondata da rigogliose palme.
Ma non è tutto. La tradizione “turca” è talmente sentita che gli abitanti del rione che la onorano in vari modi. C’è la folkloristica sfilata, organizzata durante il periodo di carnevale, di sultani, haremine e giannizzeri: un tripudio di suoni, costumi e colori con cui si vuole rinnovare il ricordo delle leggendarie origini del rione. Le donne locali si tramutano in donne turche con i volti coperti da veli, i pantaloni a sbuffo e le babbucce con punte rivolte all’insù; gli uomini si trasformano in sultani, visir, soldati e sfoggiano costumi che, almeno nelle intenzioni, riecheggiano quelli dei connazionali dell’antico fondatore del rione Turchia.
Il rituale della “bastia”, tipica della Valle di Fassa, prevede che lo sposo “forest” (per qualificarlo tale basta anche che egli sia di un rione diverso da quello della sposa) non può lasciare la casa della sposa (qui si usa che lo sposo, con i suoi parenti, si rechi a casa della sposa per avviarsi poi tutti e due insieme e in corteo verso la chiesa) prima di aver pagato un “pedaggio” consistente, come da tradizione, in cibo e bevande simboleggianti “il prezzo della sposa”. Ogni paese fassano e ogni rione interpreta a proprio piacimento questa vecchia usanza: nel rione Turchia ciò avviene, ovviamente, “alla turca”.