Generazione Scenario
Finalisti del premio Scenario
I quattro lavori presenti sono il risultato di un lungo percorso nato con 224 progetti candidati. Il mondo di Scenario è quello dei giovani artisti e sembra marciare in controtendenza rispetto alla rappresentazione dominante della società, legandosi piuttosto alle risorse meno appariscenti, ma di fatto in grande crescita, che appartengono al lavoro nei territori, allimpegno nel volontariato alla creatività delle reti new global. Grande consapevolezza e necessità di comprendere confrontandosi con la storia e la memoria: questi i temi che sono emersi, insieme allesplorazione a tutto campo dei diversi linguaggi e alla riflessione sul teatro come momento di condivisione e aggregazione.
M'Arte - Movimenti d'arte Come campi da arare
Durata: 20 minuti. Progetto Sabrina Petyx, Sabrina Recupero; Testo Sabrina Petyx; Con Alessandra Fazzino, Sabrina Petyx, Daniela Donato; Regia Giuseppe Cutino, Alessandra Fazzino
Vite solcate come campi da arare. Vite da possedere, vite di cui cibarsi, da lasciare ad ardere al sole. Vite che ad ogni pioggia, piano piano, scivolano via. Storie clandestine, da sempre. Nate in segreto. Vissute per essere dimenticate. A chi appartengono queste mani e questi corpi calpestati, ignorati, queste terre di conquista fatte di carne e di sangue? Terre di conquista coltivate per diventare la cena degli altri; numeri da registrare, senza nome, senza ricordo, senza una vita di cui parlare. Eppure quella vita è lì, appesa a una speranza, aggrappata a un sogno, privata di ogni opportunità. Come campi da arare è la storia di un viaggio che forse non inizierà mai, di una fuga senza punto di arrivo. Di un volo verso un luogo che non sarà mai abbastanza altrove. È una storia senza voce. È un paio di ali fatte in casa. È il desiderio di traghettare al di là del proprio destino con un bagaglio fatto di orrori, rovine, macerie, di promesse infrante, di grandi amori, di piccole cose. È una storia di piccoli affetti, di piccole vite, vite che non contano niente, che la storia rispedisce al mittente e che nessuno riconoscerà mai.
Habillé D'eau Refettorio, performance di danza buto
Durata: 20 minuti. Liberamente ispirata a Womina-Nite di Masaki Iwana. Progetto e regia Silvia Rampelli. Danza Alessandra Cristiani, Andreana Notaro, Francesca Proia, Silvia Rampelli. Luce Gianni Staropoli. Musica Paolo Sinigaglia. Abiti Fernanda Pessolano
Odore di fumo. Abiti da censura. Tokyo, estate 1919. Il terremoto. In uno spazio, ristretto e vuoto, quattro donne assenti e male illuminate. Donna 5, con sguardo di implorazione, tiene un pesce tra le mani. Le sue labbra si muovono, sembra che stia cantando. Donna 5 e Donna 2 si incontrano al centro della scena. Donna 2 prende il pesce e lo mette nel sesso di Donna 5. Donna 2 canta Mitsu no utta desu... Donna 5 getta via il pesce: nessun rumore. Donna 3, fino a quel momento distesa, comincia a muovere gambe e braccia come per alzarsi, poi desiste. Donna 2 si avvicina, la prende da dietro e la lascia cadere sul vaso. Donna 2 canta Mitsu no utta desu... Finita la canzone, Donna 2 riporta Donna 3 al suo posto.
Donna 4, con il viso riverso, imposta qualche gesto come fossero lettere insistite nel buio. Un tremore mano a mano più forte si impadronisce di lei, di loro. Il sole sembra splendere. Bende, corsetti, tutto è sparito. È mattino.
Teatro minimo Murgia cartolina di un paesaggio lungo un quarto
Durata: 20 minuti. Con Michele Sinisi. Scrittura scenica Michele Santeramo e Michele Sinisi
Può un paesaggio raccontarsi, avere in sé lazione? Può un paesaggio essere la scrittura leggibile della morfologia di un popolo? Paragonare una carta topografica I.G.M. a una storia avvincente. Con queste motivazioni e curiosità ho deciso di chiudere la trilogia Tre voci sulla narrazione. Dopo aver raccontato con Otello (o la gelosia di Jago) un fatto teatrale e con Ettore Carafa un fatto storico, ora lobiettivo è raccontare un non-fatto che però evochi un dramma. Raggiungere uno sviluppo drammaturgico partendo dallatemporalità di unimmagine paesaggistica.Il paesaggio murgiano, con i suoi tratturi, lame, iazzi, masserie disseminati per il suo spazio, è il chiaro risultato di unidentità che ha vissuto, abitato e plasmato questo territorio. Tutto è leggibile come la manifesta parola di un popolo che, avendo abitato questa parte di terra, racchiude in essa bellezze e sfortune della sua storia.Il popolo è quella terra. Le atmosfere, i sapori, gli incanti delle nostre facce sono rese nelle pietre affioranti dalla terra di questo paesaggio.Le punte aguzze delle pietre scarnificate dalle acque piovane. Acque che modellano la forma in modo imprevedibile quanto il quotidiano di questo popolo. Il corpo lacerato di un paesaggio che oggi risulta in bilico tra la salvaguardia, attraverso listituzione di un parco naturale, e lo sfruttamento sconvolgente secondo una concezione del territorio della Murgia quale residualità insignificante e improduttiva. Lo spettacolo è la narrazione di un viaggio di ritorno. Un giovane natio di quel paesaggio che, ignaro della sua identità di uomo e dei ritmi e idee del suo popolo, scopre per la prima volta quel paesaggio in una delle sue visite alla terra da cui è lontano: decide di restare?
Progetto Aisha Arrabat
Durata: 20 minuti. Di e con Amal Oursana e Samir Oursana. Collaborazione Ahmed Bekkar, Francesco Rossetti, Julieta Talamonti.
Un raggio di sole a Rabat. Non è ancora arrivato il buio. Non so cosa voglia dire questo. I jinn mi suggeriscono le parole all'orecchio. Loro conoscono il mio cuore meglio di me. Non a caso nella cultura araba si dice che i poeti siano posseduti dai jinn. Quello che scrivono e dicono è frutto di una malattia, che fa gravitare i loro cuori. Talvolta minacciano l'equilibrio della "Umma", talvolta mettono a rischio la propria vita, ma non sono cattivi. Uso mie logiche, che solo qualche volta trovano corrispondenza con la realtà. Ho idee legate a sensazioni, sulle quali respiro. Porto i giorni fuori da me, con un fare che trova forza solo quando si specchia in queste idee. Ho un'idea alterata e positiva di Dio, che talvolta mi esclude dall'essere musulmana, ma ci sono vicina. Ho tolto e aggiunto troppe cose. Qualcuno soffre in Occidente. Qualche centinaia di musulmani intellettuali e, assieme a loro, migliaia di figli di immigrati. Ho sentito che vogliono dichiarare il loro modo di essere. "Lei dice, in Occidente le cose si intrecciano le une alle altre finché nulla si muove. Ma lei crede al viaggio, dice che il viaggio è fatto per mettere disordine. Passa veloce, si ferma nei caffè, guarda l'esterno illuminato troppo violentemente. In Occidente, tutto è illuminato, tutto è detto, nulla resiste alla luce. Stando alle voci, vaneggia per giorni e giorni. Incontra degli uomini, la loro storia è miserevole, ma gli appartiene. Si chiudono nelle toilettes per attraversare le frontiere. Ma lei insiste, si mantiene nel mezzo, nella zona a rischio, come una ladra. Resta a lungo immobile, mette alla prova il suo equilibrio." (Da uno scritto di Selim Nassib)
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