Gli anni del terrore internazionale
Incontro-dibattito. Paolo Morando e Fernando Orlandi discutono con Valentine Lomellini, autrice de La diplomazia del terrore (Laterza)
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La Biblioteca Archivio del CSSEO organizza a Trento, nella Sala conferenze della Fondazione Caritro (Via Calepina 1), mercoledì 5 aprile 2023, alle ore 17,30, l’incontro-dibattito “Gli anni del terrore internazionale”. Paolo Morando e Fernando Orlandi discutono con Valentine Lomellini, autrice de “La diplomazia del terrore, 1967-1989” (Laterza).
L’incontro-dibattito può anche essere seguito on-line sulla piattaforma Zoom al seguente link:
https://us02web.zoom.us/j/83588372975
L’evento è riconosciuto come attività di aggiornamento per il personale docente della scuola trentina.
Anticipando l’uscita in libreria del volume di Valentine Lomellini che veniamo a discutere mercoledì prossimo, Paolo Mieli osservava sul “Corriere della sera” come la letteratura sul terrorismo internazionale abbia quasi del tutto “trascurato le analoghe forme di violenza che hanno contrassegnato il trentennio precedente all’abbattimento del Torri Gemelle”. Vale a dire il terrorismo palestinese e quello islamista.
Sono questi temi affrontati ne “La diplomazia del terrore, 1967-1989”, a partire, appunto dalla nuova minaccia che colpì l’Europa a partire dalla fine degli anni sessanta, quando il terrorismo palestinese si internazionalizzò, iniziando a colpire nel nostro continente.
Quello che esplode in Europa è un fenomeno del tutto nuovo, e pertanto di ostica comprensione, anche perché si manifesta sullo sfondo della Guerra Fredda. Ma le difficoltà di comprensione vengono presto risolte: già nel 1970 il governo di Londra si rivolge al presidente egiziano Gamal Abd el-Nasser per avere una interlocuzione con i palestinesi. Di ruota la Svizzera: sotto lo shock dei 51 morti del duplice attacco terroristico del febbraio 1970 (l’assalto all’aeroporto di Zurigo-Klöten e la strage di Würenlingen), aprì una trattativa segreta con il “ministro degli Esteri” dell’OLP Faruq al-Qaddumi. E così, in ordine sparso, a dispetto dei collegamenti fra gli organi di sicurezza europei, molti stati. Nel nostro paese fu il cosiddetto “Lodo Moro” che meglio andrebbe chiamato “Lodo Italia”, vicenda alla quale Lomellini ha dedicato “Il «lodo Moro». Terrorismo e ragion di Stato 1969-1986” (Laterza).
Anche il governo tedesco di Willy Brandt seguì questa linea: dopo il dirottamento di quattro aerei di linea nel settembre 1970 inviò il socialdemocratico Hans-Jürgen Wischnewski a trattare con Arafat. Si aprì così un canale segreto di comunicazione con i dirigenti di Fatah Abu Maher, Abu Youssef e Abdallah Frangi.
Purtroppo, ingenuità, sottovalutazioni, incomprensioni e una ingiustificata riluttanza a cooperare con l’intelligence israeliana che pur forniva informazioni di cruciali importanza, portarono a disastri di grande portata, quale l’attacco di Settembre Nero al Villaggio olimpico di Monaco, alle 4 del mattino del 5 settembre 1972.
A dispetto degli avvertimenti ricevuti, il governo tedesco non si preoccupò delle misure di sicurezza: l’unico interesse era realizzare al meglio i “giochi della gioia”, che dovevano far dimenticare le precedenti olimpiadi, quelle del 1936 che celebrarono la gloria del regime nazista. L’insipienza le trasformò nei “giochi del terrore”: otto terroristi palestinesi presero in ostaggio undici atleti e tecnici israeliani. I due che tentarono di reagire vennero subito torturati. Yossi Romano, il sollevatore di pesi, fu anche violentato, evirato e lasciato agonizzare davanti ai compagni di squadra. Compagni ai quali peraltro, prima di morire, non venne risparmiato nulla: carbonizzati nel maldestro e fallimentare blitz tedesco per liberarli, alle autopsie si scoprì che tutti avevano le ossa spezzate. Il cancelliere tedesco Willy Brandt aveva rifiutato l’intervento di una unità specializzata israeliana.
Ricorda Zvi Zamir, l’allora capo del Mossad, che seguì personalmente gli eventi: “ogni nostra proposta o obiezione venne respinta, non ci fu alcun tentativo di salvare vite umane, l’unica cosa che volevano era mettere in qualche modo fine alla cosa per poter continuare i giochi”. Infatti il sequestro degli israeliani non li fermò. Poi le autorità tedesche nascosero per decenni le prove delle efferate torture subite dagli atleti. Meno di tre mesi dopo, al danno si aggiunse la beffa: nella trattativa che seguì il dirottamento di un aereo Lufthansa da parte di altri terroristi palestinesi, il governo tedesco liberò i tre sopravvissuti di Monaco, che volarono a Tripoli, accolti come eroi da Gheddafi e da migliaia di arabi in delirio.
Il “risarcimento” ai parenti delle vittime fu un’offesa, poco più di un’elemosina: 2 milioni di dollari, come gesto eccezionale, senza ammissione di responsabilità, poi portati a 5 milioni nel 2002, un indennizzo complessivo inteso come gesto umanitario, rifiutando di ammettere errori e sempre negando l’accesso ai documenti. Insomma, nascondendo ogni cosa. Ha scritto Klaus Hillenbrand, uno dei caporedattori della “taz”, “nessuno si dimise, non ci fu alcuna commissione d’inchiesta, nessuna autocritica e soprattutto nessuno si è mai scusato. Abbiamo dato l’impressione che la vita di queste persone non avesse troppo valore”.
Saranno necessari molti anni, le pressioni della stampa e soprattutto il “ricatto” dei parenti a fare lievitare il risarcimento a complessivi 28 milioni di euro (si pensi che la Libia di Gheddafi versò 10 milioni di dollari ad ogni famiglia delle 270 vittime di Lockerbie). Il governo del cancelliere Olaf Scholz cambiò posizione pochi mesi fa, dichiarandosi pronto ad ammettere le proprie responsabilità e accettando di aprire i propri archivi ad una commissione congiunta di storici tedeschi e israeliani.
Un mutamento di posizione, 50 anni dopo, dovuto soprattutto al fatto che il governo intendeva trasformare l’anniversario del massacro in un esercizio di pubbliche relazioni: il boicottaggio dei familiari delle vittime avrebbe fatto naufragare l’iniziativa, perché il presidente di Israele Isaac Herzog non si sarebbe recato alla cerimonia contro la volontà dei familiari degli atleti.
Settembre nero era diretta dall’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). Quali erano gli obiettivi dell’OLP nel suo ricorso al terrorismo internazionale? L’obiettivo, bene inteso da tutti gli stati che condussero trattative e accordi segreti, era quello di ottenere il riconoscimento politico di rappresentante dei palestinesi. Mieterono successi.
Gli svizzeri, stando alle evidenze portate alla luce da Marcel Gyr, promisero ai palestinesi una base diplomatica a Ginevra, sede distaccata dell’ONU in Europa. In cambio, il paese non subì attacchi palestinesi per il resto degli anni Settanta. In Germania la politica di Brandt proseguì con il cancelliere Helmut Schmidt, che autorizzò Peter Kiewitt, stretto collaboratore di Wischnewski e negli anni Novanta ambasciatore in Libano, a partecipare a un vertice segreto con due alti esponenti dell’OLP, Ali Hassan Salameh e il consigliere di Arafat, Issam Sartawi.
L’incontro, che si tenne a Vienna il 24 novembre 1977, fu un’iniziativa del cancelliere austriaco Bruno Kreisky, che intendeva coinvolgere i tedeschi nella sua ambiziosa politica estera di “antiterrorismo diplomatico”, vale a dire il lancio di una Ostpolitik europea verso il mondo arabo. Vienna, al contempo, intendeva pure trovare un accomodamento con i terroristi, dopo l’attacco alla stazione di Marchegg (settembre 1973) e il clamoroso sequestro dei ministri del petrolio nella sede OPEC di Vienna (21 dicembre 1975).
Come ha osservato Gianluca Falanga, “Kreisky aveva persino proposto ai palestinesi, in cambio del definitivo abbandono del terrorismo, di spostare il quartier generale dell’OLP da Beirut a Vienna, cioè lontano dal Medio Oriente, per sganciare il movimento palestinese dai condizionamenti dei regimi arabi. Schmidt, più cauto, decise di accogliere la proposta austriaca, scavalcando la diplomazia ufficiale, perché dopo il sequestro Schleyer e la ‘notte di Stammheim’ riteneva opportuno sviluppare alternative alla linea della fermezza, costata la vita al presidente della Confindustria tedesca, cercando la collaborazione con l’OLP per sconfiggere il terrorismo domestico”. Queste discussioni trovano riscontro nel verbale della riunione, il noto “Protocollo Wischnewski”.
A sua volta Arafat riteneva che Bonn avesse l’autorità per intervenire sull’Amministrazione Carter, sbloccando il processo di riconoscimento formale dell’OLP in Europa. In cambio di questa azione diplomatica presso l’amministrazione Carter, Salameh e Sartawi offrirono il definitivo rigetto del terrorismo da parte dell’OLP e la collaborazione informativa per combattere efficacemente il terrorismo domestico europeo. Aggiunge Falanga: “Non sappiamo con certezza se i tedeschi accolsero l’offerta, ma i fatti ci dicono che nel 1978-79 gli organi dell’antiterrorismo tedesco-occidentale svilupparono varie esperienze di collaborazione con l’agenzia palestinese al-Rasd, inoltre venne formalizzata l’esistenza di un ufficio di rappresentanza dell’OLP a Bonn. E anche Vienna fece la sua parte, riconoscendo ufficialmente l’OLP – primo paese occidentale in assoluto a fare il passo – nel marzo 1980”.
Il lavoro di Lomellini offre molti altri ricchi spunti di discussione, oltre a porre molti delicati problemi, a partire dalla nuova luce gettata su Arafat e l’OLP. Nel giugno del 1972, Arafat, il suo vice Salah Khalaf (Abu Iyad), responsabile delle operazioni, e Mahmud Abbas (Abu Mazen), responsabile finanziario, decisero di attuare un’operazione clamorosa. Gli ordini vennero trasmessi ai loro fidati luogotenenti Ali Hassan Salameh, Mohammed Daoud Oudeh (Abu Daud) e Atef Bseiso.
L’architetto della strage di Monaco fu Abu Daud, che aveva stabilito il suo centro di comando in una stanza d’albergo del capoluogo bavarese. Prima della sua scomparsa, nel 2010 a Damasco, rivelò che l’operazione era stata finanziata con 9 milioni di dollari. E che quei soldi erano stati trovati da un oscuro funzionario dell’OLP che si chiamava Abu Mazen. “Invenzioni”, ha sempre replicato l’entourage del presidente palestinese. Cinque anni fa però, alla Mukata di Ramallah, fecero sensazione la passatoia, i fiori, i ventun colpi sparati al cielo in onore di Amin Al Hindi. Era l’ultimo palestinese sopravvissuto del gruppo di Monaco: gli dedicarono funerali solenni. E Abu Mazen s’inchinò, dicendo: “Quest’uomo ci mancherà”.
Mercoledì 5 aprile 2023, alle ore 17,30, nella Sala conferenze della Fondazione Caritro (Via Calepina 1, Trento), si tiene l’incontro-dibattito “Gli anni del terrore internazionale”. Paolo Morando e Fernando Orlandi discutono con Valentine Lomellini, autrice de “La diplomazia del terrore, 1967-1989” (Laterza).
Valentine Lomellini è professoressa associata di Storia delle relazioni internazionali presso il Dipartimento di Scienze politiche, giuridiche e Studi internazionali dell’Università di Padova, dove insegna Terrorism and Security in International History. Tra le sue pubblicazioni scientifiche: L’appuntamento mancato. La sinistra italiana e il Dissenso nei regimi comunisti (1968-1989) (Mondadori education 2010); La “grande paura” rossa. L’Italia delle spie bolsceviche (1917-1922)(Franco Angeli 2015); The Rise of Bolshevism and its Impact on the Interwar International Order (a cura di, Palgrave Macmillan 2020). Per Laterza è autrice di Il «lodo Moro». Terrorismo e ragion di Stato 1969-1986 (2022, Premio Pozzale - Luigi Russo). È stata insignita per le sue ricerche della Medaglia del Presidente della Repubblica nell’ambito del Premio Spadolini.