Il cinema e la follia
Pergine Spettacolo Aperto 2007
IL CINEMA E LA FOLLIA
Giovedì 12 luglio ore 18 incontro con il critico cinematografico Gianluigi Bozza, sala Arturo Rossi Cassa Rurale
Infinite volte il fascino dello spettatore per lo schermo è stato giocato sulla straordinarietà delle storie narrate e dei loro protagonisti. L'idea della straordinarietà ha modulazioni infinite: da chi ha potuto assumere ruoli assolutamente unici (gli eroi, i re, i grandi divi) a chi si è trovato al centro di eventi che hanno fatto la storia o che per la loro assoluta eccezionalità stimolano una sorta di invidia per non essere stati prescelti dal destino. Una delle accezioni della straordinarietà è notoriamente legata alla mostruosità (collegandosi con il fantastico e il magico). Nella storia del cinema il titolo più importante di riferimento il maledetto e leggendario "Freaks" (1932) di Tod Browning che è considerato una sorta di inno alla mostruosità innocente contro una normalità colpevole. Ma mostri sono anche i vampiri, i fantasmi dalla faccia sfigurata racchiusi nei magazzini del teatro dell'Opera, il principe prigioniero di una malia di "La Bella e la Bestia" (del 1946 è il film di Jean Cocteau e del 1991 il cartone animato di Gary Trousdale e Kirk Wise), il gobbo Quasimodo di "Notre Dame de Paris" o il professor McLeod, il protagonista dal volto sfigurato di "L'uomo senza volto" (1993) di e con Mel Gibson.
Un'altra fondamentale accezione della straordinarietà è riconducibile alla pazzia. Come sottolinea il celebre, ma introvabile "Marat-Sade" (1966) di Peter Brook, l'illuminismo ha portato con sè oltre che il mito della ragione anche il fascino per l'irrazionale. E così i pazzi divenivano oggetto di attrazione per i borghesi e gli intellettuali che avevo promosso e condiviso la rivoluzione francese. Il cinema ha riproposto in chiave spettacolare un innumerevole quantità di film in cui la follia è legata alle paure che emergono dall'inconscio, alle personalità dalle identità imperfette, a comportamenti efferati che superano ogni immaginazione criminale. È questo un approccio che non ha mai conosciuto momenti di crisi e che comprende opere famosissime. Solo per citarne alcune: "Psyco" (1960) di Alfred Hitchcock, "Il silenzio degli innocenti" (1991) di Jonathan Demme, "Seven" (1995) di David Fincher.
Un altro filone riguarda la malattia mentale come sofferenza che si annida nelle esperienze dell'infanzia e più in generale nei rapporti familiari. Anche queste problematiche sono state ampiamente sondate dal cinema e anche dalla televisione in ogni parte del mondo. Se, per darsi un limite, ci si richiama al cinema italiano si possono rammentare "Europa 51" (1952) di Roberto Rossellini, "Deserto rosso" (1964) di Michelangelo Antonioni, "I pugni in tasca" (1965) di Marco Belloccio, "L'ospite" (1972) di Liliana Cavani, "Storia di Piera" (1983) di Marco Ferreri e "Il grande cocomero" (1993) di Francesca Archibugi.
Il filone più strettamente legato al rapporto malattia mentale-reclusione manicomiale (che è quello che tenteremo di seguire prevalentemente giovedì luglio) non è particolarmente nutrito, soprattutto se si esclude i documentari. Il titolo in assoluto più conosciuto è "Qualcuno volò sul nido del cuculo" (1975) di Milos Forman. Ad esso possono essere associati film precedenti come "Il corridoio della paura" (1963) di Samuel Fuller, "Un angelo alla mia tavola" (1990) di Jane Campion, "La fossa dei serpenti" (1948) di Anatole Litkvak, "Improvvisamente l'estate scorsa" (1959) di Joseph L. Mankiewicz. Ma non può mancare il mitico "Il gabinetto del dottor Caligari" (1920) di Robert Wiene in cui l'uso delle tecniche terapeutiche diviene uno strumento che rende schiavi gli uomini.
Gianluigi Bozza
organizzazione: Pergine Spettacolo Aperto