Il ritorno

Cinema

Russia, 2003
Titolo originale: Vosvrašcenie
Genere: Drammatico
Durata: 105'
Regia: Andrey Zvyagintsev
Cast: Vladimir Garin, Ivan Dabronrdvav, Konstantin Lavronenko

La vita di due fratelli è improvvisamente sconvolta dal ritorno a casa del padre, visto solo in una vecchia foto di dieci anni prima. Ma è veramente il loro padre? Perché è tornato dopo tanto tempo? I ragazzi troveranno le risposte alle loro domande su un’isola remota e desolata, viaggiando...

Vera rivelazione dell’appena trascorsa sessantesima edizione della Mostra del cinema di Venezia e vincitore del Leone d’oro tra le polemiche e l’amara delusione per Buongiorno, notte dell’italiano Marco Bellocchio, esce in questi giorni nelle sale il commovente e drammatico Il ritorno.
Andrey Zvyagintsev, già conosciuto nelle vesti di attore in diversi progetti indipendenti e abile direttore della serie televisiva Black Room, ha realizzato un film cupo, introverso, toccante. Si parte da un buon soggetto: ci sono due fratellini, Andrey (Vladimir Garin, attore nel Teatro musicale di stato a San Pietroburgo) e Ivan (Ivan Dobronravov, alla sua terza interpretazione dopo quelle con il padre Fedor presso il Teatro Satiricon di Mosca), la loro giovane madre (Natalia Vdovina), la foto di un probabile padre, che però non è con loro.
Un giorno, il padre fantasma ritorna: ma sarà davvero lui? Konstantin Lavronenko, noto attore di teatro dai tratti decisi e dal corpo robusto, interpreta la parte di un padre non solo severo e autoritario, ma anche scostante e misterioso.
Negando ai due bambini qualsiasi spiegazione circa il suo passato, l’uomo si impone nella loro vita cambiandola per sempre. Partiti per una gita di qualche giorno, i tre cercano di portare avanti la difficile convivenza ciascuno secondo il proprio carattere. Alle continue prepotenze e alle assurde richieste paterne si ribella continuamente il più piccolo dei fratelli, da subito ostile all’uomo che da un giorno all’altro pretende amore e rispetto. L’assurdo e perverso gioco di affetto e ricatto iniziato dall’uomo che alterna slanci amorosi a crudeli lezioni di vita, spinge i bambini alla ribellione e a una pericolosa quanto giustificabile insofferenza nei suoi confronti.
Ricorrendo a una narrazione scandita in giornate, il racconto illustra il loro viaggio attraverso gli umidi e rigogliosi boschi del nord, i freddi e limpidissimi laghi russi, le vallate sconfinate e intatte. La splendida fotografia di Janna Pakhomova, accompagnata dalle musiche del compositore Andrey Dergachev (anche lui impegnato in teatro), conferiscono alla pellicola quel tocco in più che affascina, cattura e rende al lavoro un buon giudizio di pubblico e critica.
Il film, che da subito si caratterizza come drammatico, conferma la “disperata ispirazione” del regista e, per un’ora o più, si svela agli occhi dello spettatore con la grazia spigolosa delle storie folli e inspiegabili. Le difficoltà di tipo narrativo subentrano nella seconda parte, in cui l’ottimo livello di regia non si accompagna a un’altrettanto lodevole sceneggiatura. Nonostante questo, anche se la seduzione si trasforma a mio avviso in eccesso, proprio quest’ultimo carattere non fa che accrescere l’impatto sconvolgente che Zvyagintsev sembra perseguire. Un destino luttuoso e inevitabile sconvolge le vite dei due giovani protagonisti e l’opera si chiude con alcune foto di famiglia in bianco e nero.
Più di ogni altro commento credo che le parole del regista possano spiegare l’essenza di un’opera indiscutibilmente di qualità, ma di non immediata fruibilità: “Mentre giravo il film, non pensavo a una storia di tutti i giorni o a sfondo sociale. Per larga parte l’opera intende soffermarsi sull’aspetto mitologico della vita umana. Questo è probabilmente quello che io vorrei che lo spettatore percepisse vedendola”. Come se tutto ciò non bastasse, come spesso accade, la realtà si è presa gioco della finzione superandola con atroce crudeltà: Vladimir Garin, che nel film interpreta Andrey, si è spento qualche giorno dopo la conclusione delle riprese annegando nel medesimo lago in cui vediamo scomparire il padre nella finzione. Il mito, dunque, non ha chiarito le cose né spiegato i fatti ma questi, ribellatisi al controllo, si sono riflessi nella vita reale come in uno specchio.
Claudia Russo, 01/11/2003
da www.frameonline.it/Rec_Ritorno2.htm