Io Maasai perdo la terra

Mostra

La mostra IO, MAASAI, PERDO LA TERRA, che inaugurerà venerdì 18 dicembre alle 18.00 al Museo Tridentino Scienze Naturali e resterà visitabile fino al 28 febbraio 2010 illustra uno dei più gravi problemi ambientali del nostro tempo: la desertificazione e i suoi molteplici, drammatici esiti.

La mostra affronta le conseguenze naturali del fenomeno della desertificazione, quelle relative all’ambiente e al suolo e le conseguenze sociali, relative alle potenzialità di sviluppo e alla qualità della vita delle comunità locali. L’intento di più largo respiro della mostra è di mettere in risalto le relazioni circolari esistenti tra ambiente e società umane, evidenziando come si possano proporre soluzioni concrete ad un problema complesso e multiforme attraverso approcci che studiano la desertificazione dal punto di vista delle scienze naturali.
L’esperienza si vita della popolazione Maasai sarà il filo conduttore della mostra: attraverso testimonianze di persone appartenenti alla comunità Maasai di Mkuru (nel Nord della Tanzania), vengono illustrate le abitudini e i problemi che esse devono affrontare quotidianamente come l’approvvigionamento delle risorse idriche, alimentari ed energetiche.
La mostra propone un’attività didattica strutturata al fine di comprendere le basi scientifiche del fenomeno della desertificazione e le sue ricadute sulle popolazioni del Sud del Mondo. Inoltre, ogni visitatore potrà calcolare la propria impronta ecologica e scoprire tutte quelle piccole soluzioni concrete in grado di rendere il proprio stile di vita un po’ più sostenibile. L’esposizione comprende pannelli esplicativi sul tema della desertificazione, immagini e testimonianze della popolazione Maasai tratte dal libro fotografico “Io Maasai” di Carlo Mari.
La mostra è realizzata da Istituto Oikos, in collaborazione con il Centro Regionale di Intervento per la Cooperazione (CRIC), il Museo Civico di Storia Naturale di Milano e l’Associazione Didattica Museale (ADM) con il patrocinio della Provincia autonoma di Trento e del UNCCD (United Nations Convention to Combat Desertification).

Risorse naturali e desertificazione
Aria e acqua pulite, fonti di energia, cibo e risorse minerarie sono tra le principali “materie prime” necessarie alla nostra sopravvivenza. Tra queste, ce n’è una che sfugge spesso all’attenzione delle persone: il suolo. La degradazione del suolo, la “desertificazione” rappresenta oggi uno dei problemi ambientali più importanti, in particolar modo nelle regioni del mondo a clima arido o semiarido. Le cause del problema, come appare dalla Conferenza Internazionale su Ambiente e Sviluppo di Rio de Janeiro del 1992, sono da ricercare in una combinazione di fattori naturali e dell’azione dell’uomo.

I Maasai - la vita nel villaggio
Nelle savane dell’Africa orientale, ai confini tra Kenya e Tanzania, i Maasai hanno praticato per secoli l’allevamento di bovini secondo uno stile di vita nomade. Presso questo popolo la ricchezza non dipende tanto dal denaro, bensì dalla quantità di bestiame. In passato i Maasai utilizzavano i pascoli spostandosi liberamente su vasti territori, seguendo i ritmi delle stagioni, in un sostanziale equilibrio con l’ambiente naturale e con le grandi mandrie di erbivori selvatici.
La colonizzazione europea, le nuove politiche di utilizzo del territorio e, paradossalmente, l’estromissione dei Maasai da molti parchi nazionali e riserve, hanno costretto i fieri pastori-guerrieri a organizzarsi in villaggi permanenti. Il cambiamento dello stile di vita ha comportato problemi di sovrapascolo e di scarsa reperibilità di acqua, in un territorio poco propizio all’agricoltura e dove le possibilità di lavoro e di guadagno sono assai scarse. Tutto questo ha condotto il popolo Maasai verso la povertà e la progressiva perdita dell’identità culturale.
Tra i Maasai, uno dei compiti più importanti della giornata è la raccolta della legna, che comporta lunghe e faticose camminate con pesanti carichi. Questa attività è tra le cause di eccessivo sfruttamento del suolo, perché oltre all’utilizzo per le necessità quotidiane, la legna viene usata anche per produrre carbonella da rivendere, spesso unica fonte di guadagno per la famiglia.
Una capanna Maasai è buia e serve solo come rifugio temporaneo o per la notte, mentre tutte le attività quotidiane si svolgono all’aperto, durante il giorno, perché la scarsità di fonti energetiche rende pressoché impossibile qualunque lavoro o svago nelle ore di oscurità. Una capanna Maasai non è solo priva di illuminazione, ma anche di quelle strutture, per noi europei scontate. Anche l’alimentazione di un Maasai è piuttosto povera e poco diversificata, a causa dell’impossibilità di conservare il cibo a lungo: un pasto a base di carne, ad esempio, presuppone che l’animale venga ucciso e consumato nel giorno stesso.
Un tempo, quando i Maasai erano pastori nomadi, i loro cibi più usuali erano il latte, la carne e il sangue bovino. Oggi molti di loro utilizzano cereali e ortaggi, essendo divenuti nel tempo più inclini ad una vita stanziale, ma la scarsità d’acqua e l’aridità del suolo nel territorio non permettono di praticare una vera e propria agricoltura.
Buona parte delle attività quotidiane nel villaggio Maasai ha lo scopo di procurare le risorse indispensabili per il soddisfacimento dei bisogni essenziali: bere, mangiare e riscaldarsi.
Ciò che serve per vivere viene ricavato perlopiù direttamente dal territorio circostante il villaggio, anche se sempre più di frequente i Maasai fanno ricorso ad acquisti nei mercati, nonostante siano spesso distanti dai luoghi di abitazione e raggiungerli richieda ore di viaggio.

La desertificazione, cosa stiamo facendo
La desertificazione, con le sue molteplici cause, conseguenze e implicazioni, è un problema complesso. Per questo non può avere una soluzione semplice, e non c’è un unico modo per affrontarlo. È necessario agire a più livelli: globale, regionale e locale, da un punto di vista di gestione dell’ambiente ma anche dell’economia.
Per contrastare il riscaldamento climatico globale, nel dicembre 1997 è stato sottoscritto il protocollo di Kyoto. Entrato in vigore nel febbraio 2005, è un trattato internazionale stipulato da oltre 160 paesi, in occasione della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.

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organizzazione: Museo Tridentino di Scienze Naturali