L'individuo e la storia

Convegno

L'individuo

Con filosofia della storia si intende la teoria del progresso storico. “Dobbiamo ricercare nella storia un fine universale, il fine ultimo del mondo. Bisogna portare nella storia la fede e il pensiero che il mondo del volere non è rimesso nelle mani del caso”: così dice Hegel. In Hegel la ragione governa il mondo, la storia si svolge razionalmente. Ma tale razionalità non appartiene agli individui, invece essa fa parte dello spirito, questo ente metafisico che regge le sorti del mondo.

Il progresso è il mito della filosofia della storia. Se in Hegel il progresso è il progresso dello spirito, di un ente metafisico, in Marx è la preparazione della società senza classi. In Hegel la storia termina con lo stato prussiano dei suoi tempi (come, del resto, la filosofia termina con Hegel stesso). Anche Marx fu così presuntuoso da pensare al suo tempo come meta della storia. Marx vedeva nel disgre-garsi del capitalismo il nuovo mondo che sarebbe sorto necessariamente dalle sue macerie. Così an-che Marx pensava che sarebbe passato ancora poco tempo dall’avverarsi della società senza classi.
In questa concezione l’individuo segue i suoi interessi, ma la storia lo usa per arrivare alla meta, la quale non è nella coscienza dell’individuo. Individuo e specie umana (umanità) non coincidono: l’individuo è un granello spinto dall’onda irresistibile della storia dell’umanità. Altri pensatori hanno della storia un concetto del tutto diverso. Per costoro non esiste un disegno preordinato, ma tutto avviene nel grembo del caso.

Un’altra impostazione dice che l’idea di storia fu inventata dalle classi di potere, a cui essa faceva da puntello per giustificare un progresso a loro confacente. Altrove (e certamente in fette di umanità molto più estese), essa non ebbe alcun fondamento ed alcun terreno su cui attecchire. La vicenda millenaria dei contadini (che ormai appartiene al passato) non aveva a che vedere con uno sviluppo storico, una progressione nel tempo, un superamento che portasse ad altri lidi. Al contrario, essa vi-veva di atti che si ripetevano ciclicamente, come mimando i mutamenti delle stagioni. Il mondo contadino era statico, ripeteva sempre se stesso. Il rapporto della civiltà contadina con la storia non era dialettico: essa aveva una vita “altra” rispetto alle civiltà che fanno la storia, le civiltà borghesi e cittadine. La civiltà contadina era solo giustapposta al progresso storico, un retaggio del passato antico preistorico. Si introduce il mito del buon selvaggio e sua critica.


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