La musica classica in Italia durante la prima guerra mondiale

Musica , Concerto classico
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Concerto dedicato alla mostra sulla Grande Guerra “La guerra che verrà non è la prima. Grande guerra 1914-2014” a cura del Quintetto Anemos: Filippo Mazzoli (flauto), Marika Lombardi (oboe), Nicola Zuccalà (clarinetto), Ivan Calestani (fagotto) e Albin Lebossé (corno).
Musiche di Ottorino Respighi, Giorgio Federico Ghedini, Maurice Ravel, Marco Enrico Bossi, Alfredo Casella.

In seguito alla crisi del sistema tonale, a cavallo tra Ottocento e Novecento si avvia una frenetica ricerca di nuovi codici linguistici su cui basare la composizione musicale. Le soluzioni proposte sono diverse: dal ritorno alla modalità, all'adozione di nuove scale, di derivazione extraeuropea, come quella per toni interi (proposta per primo da Claude Debussy), al cromatismo atonale e poi dodecafonico che tende a scardinare la tradizionale dualità di consonanza/dissonanza.

In particolare, nel secondo decennio Arnold Schönberg, assieme ai suoi allievi, tra cui si ricordano Alban Berg e Anton Webern, giunge a delineare un nuovo sistema, noto come "dodecafonia", basato su serie di 12 note. Alcuni ritennero questo l'inizio della musica contemporanea, spesso identificata con la musica d'avanguardia: altri dissentirono vivamente, cercando altre strade. Il concetto di serie, inizialmente legato ai soli intervalli musicali, si svilupperà nel corso del secondo Novecento sino a coinvolgere tutti i parametri del suono. È questa la fase del serialismo, il cui vertice fu raggiunto negli anni cinquanta con musicisti come Pierre Boulez e John Cage. Altri musicisti - tra cui Igor Stravinsky, Bela Bartok e Maurice Ravel - scelsero di cercare nuova ispirazione nelle tradizioni folkloristiche e nella musica extraeuropea, mantenendo un legame con il sistema tonale, ma innovandone profondamente l'organizzazione e sperimentando nuove scale, ritmi e timbri.

È necessario tornare agli anni a cavallo fra ‘800 e ‘900 per capire quale fosse il panorama musicale italiano allo scoppio della grande guerra: all’epoca in cui Verdi compose la sua ultima opera, Falstaff, vi erano compositori molto più giovani che avevano già ottenuto grandi successi sia in Italia che all’estero: Pietro Mascagni (Cavalleria rusticana), Ruggero Leoncavallo (Pagliacci), Giacomo Puccini (Manon Lescaut e La bohème) e Umberto Giordano (Andrea Chénier). All’inizio del regime fascista, questi celebri compositori italiani erano all’apice del loro successo, ma non per questo disdegnarono gli onori che il governo gli tributava. Puccini, per esempio, scrisse nel 1919 un Inno a Roma, da lui stesso poco apprezzato, ma divenuto in seguito una sorta di altro inno nazionale, dopo la Marcia reale e Giovinezza. Mascagni, che non riuscì mai a ripetere il successo di Cavalleria rusticana (1890), non perse mai l’occasione di chiedere favori al duce, e compose l’Inno del lavoro. Sia Mascagni, abbondantemente aiutato economicamente con i fondi segreti del Minculpop, che Giordano diventarono membri dell’Accademia reale d’Italia.

Nello stesso periodo, nei maggiori teatri italiani riscuotevano grande successo le opere di Wagner, Bizet e Massenet; poco dopo si sarebbero fatte conoscere anche le opere di Ciaikovskij, Mussorgskij, Richard Strauss e Debussy. Allo scoppio della prima guerra mondiale, nacquero nuove tendenze compositive, con una maggiore proposta di musica strumentale, in opposizione al genere del melodramma dell’ottocento. Questo era, a grandi linee, il quadro che si presentava in Italia nel 1922, anno in cui Mussolini salì al potere.

Allo scoppio della prima guerra mondiale Ravel, che aveva 39 anni, fu arruolato nei servizi di assistenza e divenne autista di ambulanze per il trasporto dei feriti; non pensò più a Le Tombeau de Couperin, su cui rimise le mani più tardi, scrivendo un pezzo in sei movimenti dedicati alla memoria di sei amici caduti al fronte: il primo, Prélude, a Jacques Charlot, la Fuga a Jean Gruppi, la Forlane a Gabriel Deluc, il Rigaudon ai fratelli Pierre e Pascal Gaudin, il Minuetto a Jean Dreyfus e la Toccata a Joseph de Marliave. La moglie di quest'ultimo, la pianista Marguerite Long eseguì al pianoforte Le Tombeau de Couperin per la prima volta l'11 aprile 1919, ottenendo larghi consensi. Più tardi Ravel orchestrò il pezzo e dei sei movimenti ne scelse soltanto quattro, presentati il 20 febbraio 1920 nei concerti "Pasdeloup". Nel Tombeau de Couperin si può vedere in controluce tutto il gusto clavicembalistico dell'autore cui è dedicato il brano, ma in esso è presente in modo rilevante la indiscussa abilità di strumentatore di Ravel, che sa far sprigionare il clima di poesia da una semplice melodia collocata nella sua giusta dimensione timbrica e ritmica. Il primo brano, ad esempio, il Prélude, è caratteristico per la sua mobilità armonica e la rapidità degli incisi strumentali, rievocanti una linea clavicembalista alla Rameau o alla Scarlatti (è in tempo vif). Il Rigaudon invece dalla struttura tripartita (Assez vif - Moins vif - Premier mouvement) alterna un motivo di danza ritmicamente marcato ad una melodia più distesa e intrisa di malinconia, come una triste riflessione sugli amici scomparsi, immersa in una visione sonora di estrema semplicità strumentale nel gioco di armonie fra l'oboe, il flauto e il clarinetto.

Costi

Partecipazione gratuita con biglietto di ingresso al Museo


organizzazione: Mart Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto