La squadra spezzata
La Grande Ungheria di Puskás e la Rivoluzione del 1956
Un libro che, col pretesto di parlare della nazionale ungherese di calcio del 1956 racconta la storia, anzi tante grandi piccole storie.
Ha nove anni Gábor quando segue il padre allo stadio, a Budapest, anche se non c’è nessuna partita da vedere. Non ci sono nemmeno gli spalti, solo un prato sconnesso e imbiancato dalla calce, e un esercito di volontari che hanno risposto all’appello del Partito. Sono lì per posare le pietre del nuovo Népstadion, che ospiterà le evoluzioni di Puskás, Bozsik, Hidegkuti, Kocsis, Czibor e degli altri formidabili giocolieri dell’Aranycsapat, la nazionale magiara che umiliò due volte i maestri inglesi.
La «squadra d’oro» che subì una sola sconfitta in cinquanta partite, peccato che fosse la più attesa: la finale della Coppa Rimet del 1954. Non ci sarà una seconda occasione, perché di lì a due anni la Rivoluzione ungherese, repressa dai carri armati sovietici, finirà per spezzare quella squadra di campioni senza eredi.
In un libro che è «una serie di storie nella Storia», Luigi Bolognini, scrittore e giornalista de "La Repubblica", sondriese, riannoda i fili che legano le sorti della Grande Ungheria alle sanguinose giornate di Budapest, seguendole con gli occhi candidi di Gábor, che trepida davanti alla radio per «il sacco di Wembley» e poi scende in strada con il proprio popolo per la libertà. Sentendosi anche lui, per un momento, come Nemecsek della via Pál, «piccolo soldato avventuroso che sembrava aver rinnegato la causa e invece era stato il più fedele» di tutti. Forse Gábor avrà tradito il Partito, ma non i suoi sogni.
"Vorrei dire che questo è un libro bello come un film," scrive Gianni Mura nella prefazione "ma sono troppo tifoso dei libri per dirlo".
Fra le tante storie del libro:
SANDOR MARAI E LA RIVOLTA UNGHERESE DEL 1956
Sandor Marai, l'autore di libri immortali come "Le braci" o "La recita di Bolzano", aveva lasciato l'Ungheria nel 1956 per sfuggire alla precarizzazione ed all'oppressione sovietica. Negli Stati Uniti soggiornò a lungo, sopportando prima il dolore della morte per cancro della moglie, poi quella del figlio adottivo, sempre critico verso il modo di vivere americano. Aveva l'abitudine di segnare in un diario la morte degli scrittori ungheresi che conosceva: "Exit tizio, exit caio", una sorta di documento cimiteriale che a dice lunga sul suo umore in quegli anni.
Nel 1989, pochi mesi prima del crollo del muro di Berlino, si uccide. In Ungheria, che aveva messo al bando i suoi libri, si era sempre rifiutato di tornare, anche quando era cominciata una blanda liberalizzazione. "Durante il nazismo Thomas Mann non ha mai rimesso piede in Germania", diceva. "Perchè lo dovrei fare io con i comunisti?". L' unico momento in cui sperò di rivedere Budapest era stato durante la rivoluzione ungherese, nel 1956.
organizzazione: Libreria Arcadia