La strana guerra del capitano Musil
Intervengono i curatori de “L’ultimo giornale dell’imperatore” di Robert Musil
Il lungo periodo dedicato alle iniziative in ricordo del primo conflitto mondiale è ormai alle nostre spalle. È stato caratterizzato da un gran numero di manifestazioni che hanno affrontato il conflitto da molteplici punti di vista, soprattutto – seguendo linee di ricerca già consolidate alla fine del secolo scorso – si è posta molta attenzione alle fonti, che ormai spaziano dalla scrittura popolare alla narrativa, dagli archivi dei centri psichiatrici alle tracce materiali, dalle fotografie alle opere degli artisti. Una sola fonte è stata sostanzialmente ignorata: i giornali di guerra.
Il termine nella sua semplicità nasconde una molteplicità di prodotti editoriali diversi: si va dai volantini ciclostilati a pubblicazioni di grande raffinatezza editoriale; diversi sono poi gli editori e ancora diversi i pubblici di riferimento. Una grande distinzione è poi quella tra i giornali scritti dai soldati per i soldati, i giornali che incarnano veri e propri progetti politici, le pubblicazioni il cui scopo è sostenere ideologicamente l'azione politica e militare. Si tratta di un terreno di ricerca ancora aperto destinato a riservare sorprese.
Robert Musil, scrittore e intellettuale la cui importanza è difficile da sopravvalutare, nel corso del suo servizio militare nell'imperial-regio esercito ha lavorato nelle redazioni di due giornali dai fini del tutto diversi: dall’8 ottobre 1916 fino al 15 aprile 1917 a Bolzano è redattore e poi direttore della “Soldaten-Zeitung”, che incarna un preciso progetto politico dei militari del Gruppo d'Armata Principe Eugenio; dall'8 marzo 1918 fino al crollo, fa parte del Gruppo redazionale del Quartiere della stampa di guerra di Vienna con il compito di dirigere il settimanale “patriottico” “Heimat”.
Si tratta di un settimanale voluto dai militari, un progetto ambizioso, il cui fine è sia “contrastare quegli influssi che provocano disorientamento al fronte”, sia preparare “il popolo e il soldato” alla situazione che si creerà con la fine del conflitto. All’edizione tedesca, poco alla volta, se ne affiancano altre tre: con la collaborazione di Arne Laurin viene pubblicata “Domov”, edizione in lingua ceca; poi quella in ungherese “Üzenet”, affidata a Lászlo Zoltán; e infine quella croata, “Domovina”. Il 1918 è un anno difficile per l'Impero austro-ungarico, ma “Heimat” sembra non dovere combattere con le difficoltà che incontra la società viennese. Il settimanale viene pubblicato con regolarità e mantiene una significativa tiratura, raggiungendo le 31.000 copie a luglio.
Il nome rimanda a uno degli elementi portanti del mito asburgico: l’idea di una missione sovranazionale dell’Impero chiamato a costruire l’“Heimat” di una comunità di stirpi diverse. Il titolo è parallelo a quello del coevo mensile “Donauland”, che nella testata contrappone il Danubio al Reno, il mondo della purezza delle stirpi, il Reno, al mondo della mescolanza, alla “grande missione dell’Austria: unire, costruire ponti fra l’est e l’ovest”. “Heimat” indica la patria degli affetti, la “matria” si potrebbe dire, contrapposta alla patria, la terra dei padri, il “Vaterland”.
In ogni caso il titolo è in palese contraddizione con la veste del giornale – rigida, austera, priva di illustrazioni – e ancor più con la scrittura e i contenuti. La prima protocollare, che non tenta nemmeno di rivolgersi agli affetti; i secondi si presentano come una serie oggettiva di dati, di considerazioni geopolitiche, di ragionamenti economici spesso rimacinatura di comunicati ufficiali. La forza del giornale saranno i fatti: essi “devono formare una torre dalla quale ognuno con un proprio giudizio possa guardare il mondo; si devono accendere luci e alimentare fiamme nei cuori”. Il giornale si presenta come il luogo dove trovare una risposta alle preoccupazioni quotidiane: “che riguardano la moglie e i figli, i campi e il negozio; il salario e il posto di lavoro, l’economia nazionale e la salute, il commercio e l’artigianato, la questione operaia e tutto quel che di nuovo e di rivolto al futuro avviene in questi campi e che prepara il vostro avvenire”.
Gli articoli di Musil compaiono anonimi. La loro complessità lessicale, sintattica e di contenuti è senza paragoni inferiore a quella dei contributi per la “Soldaten-Zeitung”: qui ci troviamo di fronte a una scrittura piana e lineare, didascalica, talvolta stereotipata.
Tuttavia, nonostante queste caratteristiche anche i temi di “Heimat” confluiranno nell’opus magnum dell’autore, nell'interminato e interminabile “Uomo senza qualità”,sia pure con modalità del tutto differenti da quelle che lo legano agli articoli della “Soldaten-Zeitung”. Il lavoro di Musil ad “Heimat” è un’ulteriore dimostrazione della sua voracità onnivora. Ogni esperienza, ogni vicenda della sua vita sono degli affluenti (anche minimi, ma questo non è importante) del grande flusso rappresentato dalla sua opera maggiore. Tutto vi confluisce.
Per la seconda volta, dopo la pubblicazione nel 1987 della “Guerra parallela” Reverdito editore), che raccoglieva gli articoli di Musil per la “Soldaten-Zeitung”,è dovuto a dei ricercatori italiani la prima edizioni degli articoli musiliani per “Heimat”, di nuovo pubblicati dalla Reverdito in prima edizione mondiale.