Le donne della diga
Di acqua e di pietra: uno spettacolo teatrale racconta l’epopea delle dighe in Val di Pejo.
All'interno delle tappe della rassegna culturale "oltre le mura, tempo di viaiggi viaggi nel tempo" il Comune di Ossana organizza presso il suo possente castello S. Michele la messa in scena dello spattacolo “le donne della diga” che recupera un pezzo eroico e doloroso della nostra storia. Con questo spirito la Compagnia-Laboratorio “UnPaeseNelleNuvole”, con la regia di Maria Teresa Dalla Torre, propone al pubblico una narrazione partecipata e struggente, che recupera un pezzo eroico e doloroso della nostra storia.
Essa prende le mosse negli anni Trenta, quando i lavori dei cantieri della val di Peio sono in parte già eseguiti, i tralicci e fili per portare l’energia fino a Mezzocorona sono già stati installati, le centrali di Malga Mare e Pont sono in funzione e il bacino del Careser è ultimato. Le acque limpide e fredde da togliere il fiato delle tre grandi culle lago Nero, lago Lungo e lago delle Marmotte sono già costrette a finire contro il muro di cemento della diga del Careser. Maria è la protagonista femminile, è lei la “macchina” del racconto, ci accompagna nel mondo del torrente Noce, nel ventre della montagna, nel mondo maschile dei cantieri e delle dighe.
Ci parla anche di riti e di quella speciale trascendenza del mondo femminile che si trova, spesso, in coda ai percorsi umani, a riflettere sul sapore o la saggezza dell’uomo, ma soprattutto sulla vita vissuta, che è materia da cui nascono le storie. Il mondo del lavoro maschile è visto con la sensibilità dello sguardo femminile.
DIGHE IN VAL DI PEIO: LA STORIA
La Val di Peio, come tante altre vallate delle Alpi, nel secolo scorso è stata teatro, a più riprese, di grandi cantieri idroelettrici. Imponenti opere idrauliche sono sorte nel territorio coinvolgendo, durante la loro realizzazione, tutta la popolazione. Vi fu un’intensa immigrazione dalle regioni vicine e anche dal sud Italia: attirati dal fermento dei cantieri arrivarono Trentini, Bellunesi, Camuni, Friulani, Calabresi, Siciliani, Napoletani; uomini che volevano riscattare la loro povertà e miseria con il lavoro. Alla fine degli anni Venti, la crisi è spaventosa, in un’Italia poverissima serve energia per alimentare l’industria e per le infrastrutture come le ferrovie. Il regime fascista attua interventi a favore dell’industria sostituendosi alle banche e privilegiando pochi potenti gruppi industriali. Il comparto elettrico non sfugge a questa logica, unificato in cinque grandi gruppi e in pochi altri minori: Edison con Sade (quella tristemente nota per la tragedia del Vajont), Sip, Meridionale. L’energia idroelettrica diventa così il fiore all’occhiello del regime.
Fra le “controllate “di Edison c’è la Sget, la Società Generale di Elettricità Trentina, che nel 1930 ottiene la concessione allo sfruttamento dell’intero bacino del torrente Noce. In Trentino sono molte le aziende elettriche municipali e privati produttori ma hanno vita difficile e senz’altro non possono competere con una concorrenza così potente. Fino al 1930 le società idroelettriche sono lasciate completamente libere di fissare il prezzo dell’energia, anche se operano in regime di monopolio. Nel 1933 tutte le concessioni già accordate in precedenza sono prorogate gratuitamente per altri trentacinque anni: bisognerà aspettare lo statuto di autonomia del 1972 perché i trentini recuperino un parziale controllo sulle loro acque.