Ludovico Bertolini
Lo scultore roveretano Ludovico Bertolini espone alcune sue opere lignee
IL NEOPRIMITIVISMO DI LUDOVICO BERTOLINI
di Maurizio Scudiero
Nel 1984 il Museum of Modern Art di New York organizzò una mostra straordinaria, epocale, titolata, "Primitivismo nell'arte del XX secolo", che concerneva le affinità tra l'arte tribale e la Modernità. In essa, il curatore, William Rubin, identificava l'influsso esercitato dall'arte primitiva praticata in tutte le latitudini, dall'Africa all'Oceania, dal nord america all'Indocina come "centrale" nella crescita e nello sviluppo dell'arte moderna occidentale, in particolare delle avanguardie storiche.
Si è così scoperto che il "primitivismo modernista" di Picasso deve molto all'arte africana (e del resto le foto dello studio di Picasso riprese all'inizio del XX secolo mostrano le pareti tappezzate di maschere africane), la quale è stata affrontata in un'ottica nuova dagli artisti , cioè non solo in chiave meramente antropologica.
Oltre a Gaugin, che ne colse soprattutto il dato "filosofico", ed a Picasso, che invece guardò con maggiore attenzione al dato estetico, moltissimi furono gli artisti che pescarono a piene mani dal patrimonio iconografico primitivista: da Juan Gris, a Modigliani, a Max Ernst, a Paul Klee, a Lipchitz, a Giacometti, a Sebastian Matta, solo per citare i più famosi.
E se da una parte questi manufatti avevano essenzialmente scopo "rituale", e quindi erano pregni di significati "simbolici", dall'altra, invece, gli artisti ne colsero piuttosto il dato "sintetico", ovvero l'essenzialità volumetrica a fronte di una fervidissima "capacità inventiva".
Ma quello che fece si che l'arte primitiva fosse recepita dagli artisti moderni fu il mutamento di attitudine dell'avanguardia artistica, da percettivo (l'Impressionismo, il post Impressionismo e Gaugin) a concettuale (le ricerche del Cubismo, che voleva rappresentare un'idea anziché la realtà). In questo contesto, si comprese che l'estrema sintesi, a volte quasi caricaturale, dell'arte primitiva, era non solo il frutto di una visione, ma anche di una manipolazione concettuale di quella visione.
E questo insegnò agli artisti moderni che il meccanismo del primitivismo era in realtà possibile, se non "comune" (cioè in forma archetipa), anche per l'occidente, a condizione di mutare le proprie modalità operative, lasciandosi alle spalle quell'attitudine percettivista, ed imboccando decisamente la via di una reinterpretazione concettuale dell'opera d'arte. Giungendo, finalmente dopo questa lunga introduzione, alle opere di Ludovico Bertolini, ed osservandole alla luce di quanto sopra esposto, possiamo ben comprendere come il suo lavoro prenda l'avvio da questa intima e archtipa idea di estrema sintesi formale.
Un'adesione, la sua, alla quale è giunto attraverso un percorso che ha preso le mosse da una pittura dalle forti tinte, per approdare solo recentemente ad un'esigenza di plasticità, di volume, che si è esplicata dapprima nel bassorilievo e quindi con queste sculture a tutto tondo.
Il tutto con un unico, comune denominatore che è stato quello di una puntuale attenzione per la natura e il mondo contadino, per le cose semplici: una dichiarata naivité accompagnata da accenti e toni panteisti che ovviamente potevano far pensare ad un'adesione alla pittura di genere naïf.
In realtà, e questi recenti e felicissimi sviluppi plastici ce lo confermano, Ludovico Bertolini è riuscito a cogliere nelle "cose semplici" proprio quel dato archetipo, quella necessità di sintesi che, unita ad un certo slancio dinamico, ascensionale, si sta evolvendo verso un lavoro "a togliere", a "sfronzolare" il superfluo, per giungere quasi allo "scheletro" che sostiene un'idea. In questo modo, i suoi soggetti, umani o animali, sono caratterizzati da questo verticalismo, da questa propensione verso il cielo, che per certi versi li può accostare proprio a quelle sculture rituali dei "primitivi".
Ma, ricordando sempre che "primitivo" non vuol dire ignorante, ma propriamente "semplice", e , in virtù di questa semplicità, forse più vicino all'essenzialità. Ludovico Bertolini è seguito nel suo percorso artistico dal maestro Renato Ischia di Arco
NOE BIOGRAFICHE
di Ierma Sega
Nel suo atelier affacciato su uno degli angoli più caratteristici della città vecchia, Ludovico Bertolini crea le sue opere con una tecnica che evoca abilità antiche. Legni, tronchi, essenze dalle differenti sfumature vi stanno accanto sculture finite, a opere appena abbozzate, a riccioli di legno che lo scalpello ha lasciato, traccia tangibile del continuo scavare. In un procedere che, passo dopo passo, libera la forma dell'idea creativa dalla materia.
Ludovico è un'artista istinivo che porta intatta in sé la voglia di sperimentare, il raro piacere di seguire l'ispirazione personale per creare figure che nascono dalla personale percezione del linguaggio del legno.
Avvicinatosi alla scultura seguendo linguaggi e modelli figurativi, dalla metà degli anni Novanta Ludovico si è sempre più spinto verso quell'essenzialità di forme che vide Costantin Brancusi insuperat maestro. Dalle sue mani sono nate figure nelle quali concisi elementi richiameno la complessa unicità dei soggetti.
Animali, sacre rappresentazioni, abbracci, maternità sottintendendo, nella loro interezza più che nei dettagli, espressioni e stati emozionali e si rivelano con forme percepite dagli occhi e dal tatto, che ne può seguire la superficie nei nodi, nelle venature e nelle scabrosità del legno che l'artista-scultore rende parte fondante del suo creare.
Le opere di Ludovico esprimono una forte carica di emozioni e sentimenti. Come gli abbracci, che realizzano il legame e la condivisione profonda delle anime nella compenetrazione delle forme che rende un tutt'uno le figure.
Ma anche nella stessa famiglia, resa nell'accostamento irrinunciabile delle sagome del padre, della madre e del figlio, nell'animale, un po' cane un po' cavallo, che sviluppa un'originale tensione verso l'alto che porta la materia all'equilibrio.
organizzazione: Biblioteca Civica