Mimmo Jodice dalla Collezione Cotroneo

Mostra

Mimmo Jodice è oggi considerato uno dei più prestigiosi maestri italiani della fotografia, capace di esprimere valori estetici ben al di là di quelli meramente documentari, tradizionalmente assegnati al mezzo fotografico.

Di questo originale artista il Mart di Rovereto espone, dall'11 dicembre 2004 al 13 febbraio 2005, due gruppi di lavori fotografici ascrivibili alla sua piena "maturità", capaci di esprimere al meglio la sua personale estetica: "Eden" (1994 -1998) e "Isolario Mediterraneo" (1998-2004), quest'ultimo presentato al pubblico per la prima volta, entrambi provenienti dalla collezione d'arte di Anna Rosa e Giovanni Cotroneo attualmente in deposito al Museo d'Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto.
Realizzate al culmine di una ricerca, che ha posto Jodice fra i massimi esponenti della fotografia europea, le due opere (complessivamente 112 fotografie) sono tra loro in un rapporto di complementarità per la diversità degli oggetti d'indagine, pur presentando un linguaggio simile, perché unica e coerente è la predisposizione dell'artista.
Le fotografie di Jodice sono quasi sempre di formato quadrato e sempre in bianco e nero; quelle esposte a Rovereto - nella mostra curata da Giorgio Verzotti - mostrano paesaggi ed elementi naturali, reperti archeologici, oggetti comuni, materie organiche, e mai presenze umane, se non per via di qualche "resto" insignificante.
"La fotografia per Jodice - scrive Verzotti nel catalogo Skira - è uno strumento atto non a registrare i fenomeni della realtà ma a trascenderli in nome di un continuo, inesausto confronto con l'assoluto. Le sue opere recenti esprimono questa profonda istanza con la semplice, disarmante chiarezza propria dei grandi, che l'hanno conquistata con anni di ricerca ansiosa".
Fin dai suoi primi approcci, dalla metà degli anni sessanta, Jodice vede infatti nella fotografia un linguaggio da mettere alla prova, un oggetto di sperimentazione. La sua ricerca irrequieta s'identifica ampiamente con una interrogazione che pone il mezzo tecnico a metà strada fra la realtà, intesa come la dimensione esteriore in cui si opera, e il linguaggio, inteso come la dimensione interiore, le "voci di dentro" che vogliono emergere alla consapevolezza. L'opera avviene quando avviene questa corrispondenza.
Il suo percorso artistico nasce a Napoli sua città natale.
Durante gli anni sessanta il fotografo conduce anche ricerche di tipo antropologico su molti temi, affrontando problematiche sociali stringenti: tuttavia la sua fotografia non si colloca nel quadro del reportage tradizionale. L'attenzione di Jodice si rivolge più allo scenario che all'azione, più alla maschera e al gesto che all'evento, puntando soprattutto a organizzare il campo visivo e a studiare il valore simbolico della luce e degli spazi nei quali si muovono le figure.
Dal 1978 nelle fotografie di Jodice scompare la presenza umana: resta soltanto la città vuota come metafisico contenitore.

Le immagini di "Eden" nascono come volontà di rivitalizzare il genere della natura morta, tema certo poco frequentato nell'arte contemporanea e non molto neppure in fotografia. Jodice risolve questa nuova sfida assumendola come un confronto non con la tradizione pittorica, dalla quale si allontana radicalmente, ma con una discesa nell'universo delle merci, nella dimensione quotidiana, proprio ciò che fino a questo momento aveva accuratamente evitato di incontrare.
"Si tratta di merci - scrive Verzotti - non di oggetti e di elementi naturali: questo quotidiano non è innocente né edificante. L'artista vaga per la città in una sorta di nuova crudele flanerie e ferma con la fotografia gli oggetti esposti nelle vetrine, appunto le merci che conformano la quotidianità".
Anche qui, come in precedenti lavori, il procedimento di "muovere" l'immagine, di sfocarne i contorni, resi imprecisi anche dai riflessi delle vetrine dietro cui sono posti, infonde all'inanimato un'intensità strana, estranea, che intensifica il senso di allarme di cui sono già abbondantemente circonfusi.
"Se Jodice torna momentaneamente al mondo degli oggetti, all'universo della contingenza, è per cogliervi segni di morte, e per esprimere un suo giudizio morale sull'aggressività, quando non sulla violenza che connatura i rapporti fra noi e le cose".

"Isolario Mediterraneo" rappresenta lo scarto più radicale, l'allontanamento estremo rispetto alla produzione precedente e un'impegnativa posta in gioco per il fotografo. Si tratta infatti di cogliere con le immagini ciò che, di solito, nessuna immagine può contenere, perché la eccede: il vuoto, l'infinito, l'assoluto.
In questo ciclo di paesaggi marini solo lo spazio, il cosmo, il limite infinito tra mare e cielo fanno da sfondo ad un dialogo che è solo interiore.


organizzazione: Mart