Paesi e paesaggi

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L'urlo verticale delle Dolomiti. L'incontro inatteso con il Garda. Le città della pianura, con i loro bastioni, i palazzi signorili, le antiche mura. Venezia e i suoi canali. E poi giù, scendendo per la penisola più bella incontrando Firenze, le crete senesi, i castelli romani, le coste adriatiche e quelle tirreniche, il fascino eterno di Roma, quello minuto e bucolico dei trulli pugliesi, fino al Vesuvio, la costiera amalfitana, le alte colonne della Valle dei Templi che salutano un mare che già sa di Africa.
Il paesaggio italiano non ha uguali al mondo per varietà, colore, fascino, completezza. Dalla dura roccia dei monti alle acque cristalline delle isole del sud, dalla spazialità delle città rinascimentali, al clamore dei mercati negli antichi borghi medioevali.
Milioni di persone, negli ultimi secoli, hanno tentato di riportare su un foglio di carta, sul fotogramma di una pellicola, sulla tela appesa al cavalletto, lo spettacolo multiforme ed emozionante che si presentava ai loro occhi.
Lo hanno fatto gli artisti più rinomati, utilizzando di volta in volta la tecnica illustrativa ritenuta più felice per quel determinato soggetto. Lo fanno milioni di turisti armati di macchina fotografica e di cinepresa. Cambia la ripresa, non cambia ciò che si riprende.
Nella mente di chi viene dall'estero per conoscere il Bel Paese vi sono prima di tutto le immagini, le icone di un'Italia che è da guardare e poi da ascoltare, assaporare, respirare. Immagini da scovare, per rendere reale ciò che si inseguiva prima della partenza.
Il Settecento fu il secolo nel quale trovò piena affermazione la "veduta", sulla scia della tradizione artistica che giungeva prima di tutto dai Paesi Bassi, dove fin dal XVII secolo Vermeer aveva lasciato insuperabili esempi di questo genere.
Alla tradizione olandese del XVII secolo si rifece all'inizio dell'Ottocento Constable, teso a cogliere ciò che egli definiva "il chiaro scuro della natura", intendendo con ciò non solo il trascorrere delle luci, ma anche quel drammatico contrasto di luce e ombra che divenne sovente l'elemento dominante e unificatore delle sue rappresentazioni paesistiche. Più vicino all'ideale classico e agli esempi di Lorrain si mantenne, soprattutto nella prima fase della sua attività, Corot, mentre Courbet rifiutò ogni tradizione e ogni convenzione in nome di una rappresentazione il più possibile immediata e diretta della natura.
Ma nel corso dell'Ottocento la pittura di paesaggio trionfò con forza e vastità di manifestazioni in tutta Europa soprattutto con l'Impressionismo. In Inghilterra da Bonington a Turner, in Italia dalla scuola di Posillipo ai macchiaioli, a Fontanesi, e diviene impossibile anche solo elencare i nomi dei maggiori maestri.
Solo con la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, con Van Gogh, Seurat, Cézanne, Renoir e i movimenti post- impressionistici, la pittura paesaggistica si allontana dalla realtà e viene singolarmente interpretata dagli artisti.
Sempre nel primo Novecento è la xilografia ad esaminare con maestria il paesaggio, sia esso di valle che marino, mentre più tardi con il trionfo delle tecniche grafiche, sarà la litografia e la serigrafia a proporre un paesaggio ricco di colore e pieno di luce.
Il passaggio ulteriore è proprio nella fotografia, che attraverso l'enorme e rapida diffusione avuta dalla cartolina, diventa subito il principale strumento di riproduzione del paesaggio. L'ultimo tassello è ancora una volta nel computer, nella tecnologia digitale.
Immagini con risoluzione sempre più elevata, che si allargano a dismisura per abbracciare anche l'intero arco dell'orizzonte e che arrivano all'estremo con una nuova frontiera, non più artistica ma scientifica: l'immagine satellitare. Il paesaggio diventa mappa ma esce ben presto dagli angusti spazi della ricerca: a fianco delle cartoline tutte le principali località tursitiche, oggi, offrono la propria immagine ripresa dal satellite. Che paesaggio...
Davide Pivetti


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