Pietro Weber. Silente

Mostra

Silente
a cura di Fabio Bartolini

Nelle suggestive sale del Palazzo de Gentili a Sanzeno, sabato 4 luglio si apre la mostra Silente dell'artista trentina Pietro Weber. Questo ciclo di opere, che fanno parte di un lungo percorso artistico di Weber è la rappresentazione sacrale e simbolica dell'uomo e della natura tutta. Silente, luminescenti figure di cera si stagliano fra strati di calce idraulica e inerte, impastati con i colori delle terre. Weber è un punto di contatto tra passato e presente, è un ponte tra le origini della simbologia e la creatività a volte ironica e surreale. In questi lavori, si inseriscono non solo i richiami al passato e alle civiltà africane ed asiatiche conosciute durante i suoi numerosi viaggi, ma anche la curiosità nei confronti della libertà espressiva e creativa delle rappresentazioni infantili da lui percorse.

La mostra sarà accompagnata da un ampio catalogo bilingue edito dalla Provincia autonoma di Trento con testi di Fabio Bartolini e Marcello Nebl.

La mostra di Pietro Weber a Casa de Gentili, è una proposta culturale inserita tra le iniziative dell'estate 2009, favorendo la continuità di un percorso volto a promuovere la cultura di spessore.
Pietro Weber, vive in Val di Non ma con il suo viaggiare da osservatore, fissa immagini di culture diverse con estrema semplicità espressiva, senza tralasciare le sue radici trentine. Artista poliedrico e viaggiatore, numerosi i suoi viaggi da Parigi a Madrid, da Salisburgo ad Atene, da Dakar dove è ospite alla Biennale di Arte Contemporanea Africana ad Ankara dove realizza un murales per la sede delle Nazioni Unite, e poi Belgio, Svizzera ed in molti altri paesi. Nel 2007 gli viene assegnato il Premio Nazionale della Ceramica, molto importante, città di Vietri sul Mare. La sua arte viene definita: “Weber, l'alchimista”, “Weber, il poeta della materia”, “Weber, costruttore di simboli”, Weber ci porta alle origini” ...
Il Trentino deve saper cogliere avvicinandosi all'arte contemporanea per appropriarsi di una conoscenza diversa, per comprendere meglio se stessi.
Sostengo, con passione, questa iniziativa propostami dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Sanzeno.
Franco Panizza

Pietro, l’alchimista
…Terra, non è questo quel che vuoi, invisibile
risorgere in noi ?
Non è questo il tuo sogno, d’essere una volta invisibile?
Terra! Invisibile!
Che è mai, se non trasmutamento quello che sì
pressante ci commetti ?
dalla “Nona Elegia” di Rainer Maria Rilke

Questo testo, somma d’impressioni il più possibile non mediate, ha avuto una gestazione non facile e si è trascinato per inerzia, finché non ho capito ciò che era apparso subito dal primo istante del mio avvicinarmi all’opera di Pietro Weber: l’impossibilità di rendere il suo operare all’interno di una struttura canonica di un testo critico. È iniziando proprio dalla biografia che ciò appare, immediatamente, con disarmante semplicità: il fatto che l’artista sia nato in Val di Non non è un dato, l’accadimento del suo operare a Denno neanche, in quanto il suo “essere e giocare con l’arte” è talmente “oltre” che diventa specchio di tanti altri mondi fino a diventare “il mondo” come l’Arcano dei Tarocchi che porta il numero XXI, il valore numerico più elevato per l’anima del mondo stesso. Le note riguardanti mostre ed eventualia, vera freccia avvelenata dei cataloghi, perdono veramente di senso. Noi diciamo Van Gogh “è” un grande pittore; il fatto che Paul Gauguin gli abbia tagliato o no l’orecchio cosa cambia? Il fatto che sia morto sono affari suoi. Per noi “è” e non “era” perché la forza quasi sciamanica della sua arte riesce a trascendere il fattore temporale e a donarci oggi, ora, adesso, emozioni, inebriamenti, ardori.

Quindi non m’interessano le tante mostre di Pietro Weber e, a voler essere tagliente, non sopporto l’aggettivo “mostra personale”, che sarebbe ora di abbandonare al proprio destino. I Latini dissero “persona” la maschera di legno portata in teatro dagli attori, nella quale i tratti del viso erano forzati, in modo che gli spettatori potessero capirne meglio i ruoli, e la bocca studiata un po’ a imbuto per rafforzare il suono della voce (necessario, nonostante la perfezione acustica dei teatri stessi). Quindi la “persona” è “una maschera”. Le mostre di Pietro non possono certo essere delle maschere sopra il suo viso .Per non parlare poi delle “mostre collettive”, veri assemblaggi o trapianti (di tutto un po’, così sono tutti contenti). Pietro Weber è talmente non mediato tra il vivere e il fare, tra l’essere e l’arte, che l’elenco di tutto ciò che ha già fatto lo butta ogni giorno dietro le spalle, in questo suo “fare” governando terra, fuoco, ferro, elementi naturali. Ed è un “fare” continuo senza diacronie, com’è possibile sbirciare nella sua casa (possiamo chiamarla così solo perché ci dormono i suoi due gatti e lui è il terzo), vera “wunderkammer”, o nel suo laboratorio d’alchimista, dove avvengono miracoli nei quali Weber è contemporaneamente attore e spettatore quando attende l’esito cromatico sempre affascinante delle sue “ceramiche d’invenzione”, come io le definisco. E intendo invenzione sia nel senso “musicale” del termine, sia come riferimento diretto alle “Carceri d’invenzione” incise da Giovan Battista Piranesi dal 1745 al 1760, che ritengo molto affini alla visione profonda di Pietro Weber. Fantastiche e labirintiche visioni che si affacciano sull’angoscia del mondo riflettendo quella perdita del centro che marchia il pensiero moderno. Nelle “ceramiche d’invenzione” così policentriche, così “opera aperta”, così estratte dal profondo della terra (quale? La Mesopotamia piuttosto che l’Africa culla della civiltà; la Creta di Minosse o i Dogon del Mali dove vedrei benissimo un’opera dell’artista all’interno del “togura”, la loro grande casa della parola).
La forma della ceramica vive per aggregazione in una crescita partenogenetica fermata solo dal fuoco della fornace. Visi ieratici e silenziosi, forme zoomorfe od osteologiche, punte e funi, manici e coppette, acquasantiere e croci, dee della fecondità e del raccolto, un vero universo di ri-scoperte, un frastuono di forme e di splendidi, spudorati colori. L’attività di alchimista della ceramica non è sola; scopriamo le carte, vero palinsesto che ha ricevuto materiali come pietre, sabbie, terre, cera, calce e le vetrofusioni che vivono nella luce da loro stesse creata dal nulla. E poi i materici, le tecniche miste e gli interventi che si confrontano con lo spazio urbano o con quello domestico. Alla base di tutta la produzione di Pietro Weber una costante “opera in nero”, che rappresenta in alchimia la fase di dissoluzione della materia e, simbolicamente, l’atto fondamentale in cui un essere tenta di liberarsi dei propri pregiudizi e si mette in cerca della propria verità, della propria visione dell’essere, del suo mondo fatto di quotidiane figurazioni di un sogno.
Fabio Bartolini


organizzazione: Comune di Sanzeno Assessorato alla Cultura