Prélude à l'Après-midi d'un Faune / Le Sacre du Printemps

Danza

Oriente Occidente 2006
Danza

Compagnie Georges Momboye (Costa d’Avorio)
Prélude à l’Après-midi d’un Faune / Le Sacre du Printemps
Coreografia di Georges Momboye
Prima nazionale

• Prélude à l’Aprés-midi d’un Faune
Coreografia Georges Momboye
Assistente alla coreografia Fabrice Bert
Disegno luci Christian Welti
Regia luci Jullian Rousselot
Ideazione costumi Erica-Ann Marcus
Amministrazione Muriel Adolphe
Promozione Catherine Herengt
Musicista Thomas Guei
Danzatori Georges Momboye e Stefanie Batten Bland

durata 14 minuti

• Le Sacre du Printemps
Coreografia Georges Momboye
Assistente alla coreografia Fabrice Bert
Disegno luci Christin Welti
Regia luci Jullian Rousselot
Ideazione costumi Erica-Ann Marcus
Amministrazione Muriel Adolphe
Promozione Catherine Herengt
Danzatori Georges Momboye, Stefanie Batten Bland, Leïla Pasquier, Andrea Bescond, Tamara Fernando, Saul Dovin, David Gaulein Stef, Léopold Gnahore, Jean Kouassi, Bilé N’Draman, Louis Pierre Yonsian, Davide Di Pretoro, Yohan Tete, Nestor Kouame, François Lamargot, Oliver

Spettacoli coprodotti da Biennale Nationale de Danse du Val de Marne, Ville de Fontenay-sous-bois, Théâtre Jean Vilar de Vitry, Théâtre André Malraux – Rueil Malmaison, Arcachon Culture Théâtre l’Olympia con il sostegno del Conseil Général du Val-de-Marne e di Adami

La partecipazione di Compagnie Georges Momboye
a Oriente Occidente è sostenuta da Culturesfrance

durata 40 minuti

Sedici danzatori, bianchi e neri, giovani e risoluti, seguono la musica col corpo, si arrestano bruscamente, con le mani che tremano, i piedi che graffiano la terra per irrobustirsi...

Un Nijinskij della Costa d’Avorio
Senza dubbio Igor Stravinskij non poteva immaginare né che il suo Sacre du Printemps (1913) avrebbe avuto fortuna in terra d’Africa, all’inizio del Terzo Millennio, né che tanti danzatori neri si sarebbero misurati con quella “barbarie” musicale russa che tanto sconvolse il pubblico e soprattutto la critica francese d’inizio Novecento. Tuttavia l’eventuale stupore del compositore (immaginiamolo ancora vivo) che nella sua lunga vita vide ampiamente riscattata da planetario successo la sua partitura giovanile più dirompente e radicale, non può essere anche il nostro stupore.
Se è vero che il Sacre di Stravinskij, specie nella versione coreografica originale di Vaslav Nijinskij, può essere considerato l’inizio di una nuova era nel balletto è plausibile che lo sia anche in quella fetta di mondo, ormai non più così lontano, che da oltre un decennio si affaccia in Occidente con le sue tradizioni, la sua profonda cultura legata alla terra, alla natura, ai riti e ai misteri dell’esistenza.
C’è un legame ideale, contenutistico, più che formale e artistico tra il Sacre e le culture extra-europee: basti rileggere il suo sintetico libretto, rammentare gli eventi misteriosi e le figure non meno che leggendarie che popolano i “quattro quadri della Russia pagana”. E c’era una plateale, grottesca tribalità nei movimenti pesanti e en dehors di Nijinskij, che facilmente rimandano alle danze molto energiche e saltate, ma anche a piedi nudi e cariche di ritmo percussivo delle danze africane. Naturalmente, di fronte a una partitura di simile portata e così prosciugata da ascolti e versioni ballettistiche o di danza contemporanea, il problema di come affrontarla non può essere solo e meramente contenutistico.
Sedici danzatori, bianchi e neri, giovani e risoluti, seguono la musica col corpo, si arrestano bruscamente, con le mani che tremano, i piedi che graffiano la terra per irrobustirsi: scalare quell’Himalaya che è il Sacre ha significato per Momboye ripercorrere soprattutto le tracce controcorrente (rispetto alla tradizione del balletto occidentale del 1913) di Nijinskij: non a caso il danzatore-coreografo antepone al Sacre la sua personale interpretazione del Prélude à l’Après-midi d’un Faune di Claude Debussy nella forma di un assolo di cui è interprete e che potremmo definire assolo “afro-nijinskiano”. Quanto al Sacre, il coreografo-danzatore dice che il sacrificio dell’Eletta gli ha ricordato la sua stessa storia. Storia di un popolo, antico progenitore di tutte le etnie umane ma sacrificato e sappiamo bene a quali disegni violenti e prevaricatori. Ne è nata un’empatia nuova tra corpi e musica, un incontro specificamente africano ma stilizzato. Tutto, nella pièce che ha debuttato assieme al Prélude alla tredicesima Biennale Nationale de Danse du Val de Marne nel marzo scorso, è perfettamente regolato: gli insiemi, gli assoli appassionati, i quartetti come quello delle vergini scultoree. La coreografia ha un preciso andamento scenico con un risvolto positivo: nel finale un uomo giunge in soccorso dell’Eletta e ne impedisce il sacrificio. Se l’Africa è l’Eletta il suo riscatto è vicino.

Marinella Guatterini


organizzazione: Ass. cult. Incontri Internazionali di Rovereto - PAT Ass. Cultura - Comune Rovereto Ass. Cultura - Ministero Beni e Attività Culturali - Regione T-AA - APT Rovereto - MART Centro Internaz. Danza - ASM Rovereto - Cassa Rurale Rovereto