Profeti, oligarchi e spie
Fino ad oggi l’Italia, insieme a molti altri paesi, si è fatta trascinare dai produttori di tecnologia. All’inizio dell’epoca della rete siamo stati sedotti da servizi attraenti e apparentemente gratuiti. Poi è nato un mondo nuovo, tutto di proprietà delle Big tech, pieno di opportunità ma anche carico di distorsioni potenzialmente fatali per la democrazia. Controllo dell’informazione e controllo dei dati degli utenti: a stravolgere i pesi e i contrappesi su cui si basano i sistemi democratici non sono la tecnologia né il web, ma è il modo in cui questi strumenti vengono manipolati da enormi concentrazioni di potere economico. La battaglia non è finita. Anzi, è appena cominciata. Abbiamo tre montagne da scalare: definire i rischi di uno sviluppo senza controlli della tecnologia, concordare i sistemi di regole che si applicano agli operatori, introdurre un freno efficace allo strapotere dei monopoli. L’Europa ha la volontà politica di andare avanti ma non ha la forza sufficiente. Gli Stati Uniti hanno la forza ma non riescono a esprimere la volontà politica. La Cina interviene mettendo la museruola ai grandi capitalisti dell’economia digitale ma il suo obiettivo non è quello di rendere il sistema aperto, bensì di rafforzare il suo potere autoritario. Se il mantenimento dell’ordine e la sorveglianza sociale verranno affidati alle macchine senza controlli, se l’intelligenza artificiale generativa sarà in grado di sostituire l’uomo anche nella creatività, si farà sempre più fatica a difendere gli spazi di libertà dal grande Leviatano tecnologico. Non possiamo permetterci di cedere alla logica che vede nella presunta saggezza dell’algoritmo il fattore che rende obsoleto il dibattito democratico. È questa la sfida che abbiamo davanti, la deriva che dobbiamo arrestare. Non respingendo la tecnologia ma governandola.
Siamo stati affascinati per anni dai visionari del web, ma il nostro futuro è fatto di dati, di sorveglianza, di guerre tra gli Stati e le potenze economiche della tecnologia digitale. Quale deve essere la risposta dei governi? E le democrazie sono abbastanza forti da resistere a questa tempesta?
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La storia di Franco Bernabè, che ha guidato alcuni tra i maggiori gruppi industriali del paese, è uno spaccato inedito delle vicende nazionali e internazionali degli ultimi decenni. Dopo qualche anno all’Ocse, Bernabè approda alla Fiat come capo economista e attraversa il drammatico periodo della crisi e del recupero del gruppo torinese a opera di Romiti, godendo di un osservatorio privilegiato all’interno della struttura di pianificazione e controllo. Nel 1983 entra in Eni, di cui diventa nel 1992 amministratore delegato. Dopo la trasformazione dell’ente di Stato in società per azioni, si impegna in una lunga battaglia contro lo smembramento e la liquidazione del gruppo e per la sua quotazione. È così che Bernabè si scontra con un sistema di potere corrotto e con le sue connivenze politiche e manageriali. Nel 1998 lascia Eni per assumere la guida di Telecom Italia. È l’inizio di una vicenda densa di colpi di scena, dal piano dei “capitani coraggiosi” per scalare l’azienda al suo ritorno in Telecom nel 2007.
Massimo Gaggi è editorialista del «Corriere della Sera» negli Stati Uniti, dove segue le vicende politiche ed economiche del Paese ed è autore di molti libri pubblicati da Rizzoli e Solferino.
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