Quando al paese mezogiorno sona
Sipario d'Oro 2011
Circuito
La Barcaccia di Verona
Quando al paese mezogiorno sona
di Eugenio Ferdinando Palmieri
Regia: Roberto Puliero
Scene: Gino Copelli
Costumi a cura di: Kety Mazzi
Arrangiamenti musicali di: Giuliano Crivellente
Luci e audio: Franco Sollazzo
Sarta: Liliana Goroian
Allestimento: Graziano Motta
Fotografia: Fotoexpress
In un paese della campagna veneta, negli anni Trenta; sullo sfondo, i campi inondati dalla primavera, esaltati dalla propaganda dell'epoca a favore della ruralità e dell'incremento familiare...
In casa Camisan giunge notizia che il cugino Piero, da ventitre anni emigrato in America ed ora arricchito a dismisura, ha deciso di ritornare al paese natio, cui lo legano ricordi lontani e qualche mistero nascosto. Tra i fratelli Camisan e il cognato Pavanello, che ha sposato la loro sorella Antonia, scoppia una guerra feroce per accaparrarsi i favori del ricchissimo congiunto.
Da una parte Gregorio Camisan, capofamiglia autorevole e astuto, con la moglie Amelia dalle segrete passioni e la figlia Cecilia dai dolci sogni fanciulleschi ogni giorno più avviliti; aggrappato a lui, il più mite fratello Guelfo con il figlio Bepi stralunato e scansafatiche; dall'altra parte, il battagliero Leonzio Pavanello con la moglie Antonia, che gelosamente nasconde segreti nell'anima candida, e il loro figlio Ferruccio già disincantato e spavaldo.
Attorno a loro, ruotano insieme le vicende della "serva " Olga, impenetrabile amministratrice di sentimenti e progetti, il suo impetuoso fidanzato Marco eil fascinoso cavalier Salvatore, corteggiato per l'eleganza non più che per il suo impiego alle Finanze.
A muovere il tutto, è la bramosia del denaro e insieme la tendenza a camuffarla con la retorica dei sentimenti, sino ad un "lieto fine" unicamente di facciata, allorchè avidità e sentimenti, rancori e sogni si confondono sulle note di una vecchia canzone.
Ad animare il racconto, è un dialetto veneto asciutto e corposo con frequenti inserti d'un grottesco italiano venetizzato, uniti a comporre un linguaggio scoppiettante di trovate, capace di rivestire anche i fatti apparentemente più tragici di irresistibile e parodistica comicità.
La commedia, scritta nel 1936, si affida ad una struttura consueta ancora legata alla tradizione goldoniana, ma da questa originalmente si distacca, rifiutando ogni eccessivo manierismo e facendo il verso con beffarda ironia all'enfasi retorica dei drammoni dell'epoca. Nel contempo, essa offre, della ricca borghesia campagnola, un ritratto apparentemente crudele ma acutamente realistico, denunciandone il moralismo e il perbenismo, e mettendone in ridicolo la cupidigia.
Tale rappresentazione spinse , a suo tempo, la critica ad individuale in questa commedia un nuovo atto di nascita del teatro veneto, e ad accostare l'Autore al Pirandello più aspro; mentre ci fu chi lo accusò di screditare la sua terra, con il medesimo sdegno con cui ancor oggi, in Veneto, si contesta ogni ritratto critico del territorio e della sua gente.
Sorvolando ogni distanza temporale con la miracolosa leggerezza del teatro, una delle opere più innovative del teatro italiano torna oggi sulla scena, a ricordarci che i Camisan e i Pavanello sono ancora in mezzo a noi.