Ricordando Georges Simenon, a trent'anni dalla morte

Ospite speciale, Franco Rella, grande estimatore di Georges Simenon, che ci racconterà perché è bello leggerlo.

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Il 4 settembre di trent’anni fa, a Losanna, moriva Georges Simenon, dopo esser stato abitato per tutta la vita dal demone della scrittura.
Aveva scritto più di cinquecento romanzi e ben settantacinque inchieste con protagonista il celeberrimo commissario Maigret, portato al successo sul piccolo schermo da un’indimenticabile Gino Cervi.
Ma chi era davvero Georges Simenon? Perché questo belga, nato a Liegi nel 1903, in una famiglia piccolo borghese, educato dai gesuiti, è diventato il secondo più importante scrittore di lingua francese del ‘900, dopo Marcel Proust, e di gran lunga il più letto?
Un contemporaneo come André Gide lo definì addirittura il più grande romanziere francese contemporaneo e questo nonostante una parte della critica continuasse a liquidarlo come uno scrittore di gialli.
Al centro dei suoi libri spesso la figura del fallito, quasi il fallimento esistenziale fosse il vero interesse del suo lavoro. 
Un fallito che altro non è che un piccolo uomo che conduce una vita sempre uguale, oppresso dalla moglie, dalla famiglia e dal datore di lavoro.
Le origini di questo suo interesse forse vanno ricercate in una madre che, pur combattendo una battaglia solitaria per non soccombere, gli trasmise il disprezzo di fronte ad ogni tentativo di essere qualcosa di diverso da ciò che era; in un padre venerato e poco espansivo, minato dalla salute e debole d’animo; in uno stuolo di parenti alcolizzati, pazzi, piagnucolosi, malati o tutte queste cose insieme. 
Simenon era inoltre caratterizzato da un’ipersessualità ossessiva ( sosteneva di aver fatto sesso con diecimila donne ) derivata dalla paura della solitudine e dall’insicurezza: una carenza affettiva, un vuoto, una frustrazione che lo segneranno per tutta la vita.