Sidelki, Badanti & Co

 Due decenni di migrazioni post-sovietiche 

Incontri e convegni , Convegno

In occasione della pubblicazione di Sociologia delle migrazioni femminili di Martina Cvajner (Il Mulino)

Serena Piovesan discute con Martina Cvajner

Introduce Fernando Orlandi

Metà dei migranti del pianeta sono donne. A lungo trascurata, la presenza femminile nei flussi migratori è oggi al centro di molti dibattiti, non sempre ben definiti. Ma si tratta davvero di un fenomeno nuovo? In cosa si differenzia la mobilità delle donne da quella degli uomini? E quali sono le sue conseguenze per le donne migranti, per le loro famiglie, per i contesti d’origine e di insediamento? Martina Cvajner risponde a queste domande ricostruendo sistematicamente la nascita e l’evoluzione di uno dei più grandi sistemi migratori femminili, quello che unisce i territori dell’ex Unione Sovietica con l’Italia e con molti altri paesi del bacino del Mediterraneo. In meno di un quarto di secolo, l’arrivo delle donne post-sovietiche ha infatti cambiato l’immigrazione in Europa e nel Mediterraneo, aprendo dinamiche del tutto inedite.
I movimenti migratori guidati da donne vengono spesso trattati come una sorta di curiosità o una stranezza.

Martina Cvajner, invece, documenta come forme migratorie femminili siano esistite in molte società agricole, dove la mobilità è stata per lungo tempo un modo per le figlie maggiori delle famiglie povere per adempiere ai doveri di cura nei confronti di genitori e fratelli più giovani. Le donne hanno spesso usato la mobilità come modo per sfuggire a conflitti familiari, in alternativa ad esempio al divorzio, o come modo di far fronte alle conseguenze sociali di una minaccia allo status personale o all’onore della famiglia. Flussi di donne sole sono stati documentati nell’era della migrazione transatlantica, quando donne europee si orientavano verso una varietà di nicchie nei mercati del lavoro nord-americano. Non si tratta quindi di un fenomeno nuovo, ma di un fenomeno che ha acquisito, negli ultimi decenni, un significato particolare.

Vi è ormai un notevole evidenza empirica sull’esistenza di flussi migratori femminili che hanno luogo indipendentemente da una precedente o concorrente presenza maschile. Anche in Italia, la struttura per genere di alcuni flussi migratori è marcatamente sbilanciata a favore delle donne, che tendono ad attivare successive catene migratorie, soprattutto nel settore del lavoro domestico, quasi esclusivamente al femminile. La relatrice sottolinea che, se alcuni flussi – come quello dalle Filippine – hanno nel tempo attenuato parzialmente il proprio carattere femminile, altri – soprattutto quelli provenienti dallo spazio post-sovietico – lo hanno mantenuto e riprodotto nel tempo. In quest’ultimo caso, vi sono poche tracce di un successivo insediamento maschile: quando ci sono, l’arrivo dei maschi è quasi sempre il risultato di un ricongiungimento con la madre più che con la moglie. I contorni strutturali di questo tipo di sistemi migratori sono ancora relativamente poco conosciuti. Ma è ragionevole ritenere che siano una realtà numericamente molto rilevante, destinata a crescere ulteriormente con l’aumento della domanda di lavoro di cura. E che richiederà un modello di integrazione molto diverso da quelli sperimentati nel passato.

MARTINA CVAJNER è ricercatrice nel Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento, dove insegna Sociologia e Metodi e tecniche della ricerca qualitativa. Ha pubblicato contributi sulle migrazioni femminili, l’inserimento scolastico dei figli degli immigrati e il ruolo dell’esperienza migratoria nel cambiamento dei comportamenti sessuali. Oltre al volume presentato, “Sociologia delle migrazioni femminili” (Il Mulino, Bologna, 2018) ha appena pubblicato la monografia “Soviet Signoras. Personal and Collective Transformations in Eastern European Migration (University of Chicago Press, 2019).

Costi

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