Sweet Sixteen

Cinema

Gran Bretagna/Spagna, 2002
Genere: Drammatico
Durata: 106'
Regia: Ken Loach
Cast: Martin Compston, Michelle Coulter, Annmarie Fulton

Tra qualche giorno Liam avrà sedici anni, proprio nel giorno che sua madre Jean dovrebbe uscire di prigione. Liam vorrebbe che per una volta finalmente le cose andassero bene, per lui sua madre e sua sorella Chantelle e sogna una famiglia come non l'ha mai avuta. Prima di tutto deve racimolare qualche soldo, che non è cosa da poco per un adolescente senza un quattrino. Presto però gli insani progetti di Liam e dei suoi amici li cacciano in tutti i tipi di guai.

di Paolo Boschi
Il solito caro vecchio Ken Loach con il suo realismo di taglio sociale è tornato: Sweet Sixteen è l’ennesima storia di emarginazione diretta dal grande regista inglese, classe 1936, un film nudo e crudo, raccontato in gran parte con un taglio impietosamente descrittivo, quasi documentaristico, volto a fotografare uno scorcio di ingiustizia proletaria più che a dimostrare una tesi o suggerire facili conclusioni moralistiche. Cominciamo dal “dolce sedicenne” del titolo, un vero ossimoro a confronto con la durezza della trama: l’adolescente protagonista si chiama Liam ed ha un amore viscerale per la madre, tossica di lunga data, inguaribilmente attratta dagli uomini sbagliati, autodistruttiva per background sociale ed attualmente reclusa in un istituto penale per spaccio di droga (si è addossata la colpa per salvare il suo convivente, Stan) da cui uscirà il giorno prima del sedicesimo compleanno del figlio. All’uscita dall’istituto Liam vuole accogliere la madre donandole i presupposti di un’esistenza fuori dal tunnel della droga, magari con un piccolo prefabbricato con vista sul mare alla periferia di Greenock, cittadina scozzese vicina a Glasgow, in cui poter vivere una vita dignitosa e congiungersi con la sorella diciassettenne Chantel, ragazza-madre di un bimbo piccolo. Liam sogna di riunione la sua famiglia disgregata sotto una parvenza di sicurezza e di decoro umano, lontano dal nonno violento e del patrigno spacciatore, un’aspirazione perfettamente in linea col suo carattere generoso ed improntato a buoni principi: la via scelta per realizzarla è però disperatamente omeopatica, dato che il crimine da cui tenta di fuggire (lo spaccio) è l’unico modo che conosce per mettere insieme i soldi che gli servono. Rubata una partita di droga al patrigno, che l’ha cacciato di casa, insieme all’amico fraterno Flipper il buon Liam si mette a smerciare eroina per le strade, incurante dei pericoli cui si espone e finendo per cacciarsi, sulle ali della sua entusiastica intraprendenza, in giri troppo più grandi di lui. Quando il sogno (sebbene pericolosamente in bilico) sembra alla portata, nonostante l’ingente tributo di dolore ed affetti richiesto, la madre troverà modo di sprecare la sua occasione, Liam il suo futuro. Nella sostanziale uniformità del cinema di Loach spesso è la capacità degli attori di incarnare il dramma a costituire il fulcro funzionale della storia: in Sweet Sixteen impressionano le interpretazioni offerte dagli attori adolescenti (rigorosamente non professionisti), così veri anche dal punto di vista meramente fisico, e nel cast spicca in particolare l’intensa prova del giovane protagonista Martin Compston. Loach non ha perso l’occasione per colpire allo stomaco il suo pubblico con una storia, vera e credibile, di denuncia e disperazione proletaria. Lo stile asciutto e realistico del regista inglese risulta incisivo come sempre, supportato dall’efficace sceneggiatura del fido Paul Laverty, premiata a Cannes 2002.

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