Tòs. Reliquie a colori

Mostra

Per la prima volta in mostra le opere di Tòs, artista di lunga esperienza ma, fino ad ora, mai offertosi al pubblico. Un appuntamento da non mancare.
Dal 18 ottobre al 6 novembre 2010, Biblioteca civica.
A cura di Duccio Dogheria

Questa è la prima mostra di Tòs. Eppure non siamo di fronte a un giovane, imberbe artista: si pensi che le sue prime opere risalgono alla metà degli anni Sessanta. Tuttavia, per carattere schivo, è solo ora che l’artista ha deciso di mostrare al pubblico la sua produzione, mai destinata al pubblico né tantomeno al mercato, ma conosciuta solo da un ristretto numero di amici ed estimatori.
Prima di addentrarci nelle opere di recente creazione, al centro di questo percorso, troviamo opportuno accennare brevemente alle principali tappe del percorso artistico di Tòs, fin dalle origini. Anni Sessanta, dunque, un incipit declinato -fatta eccezione per una stravagante figura realizzata con ciottoli di fiume dipinti (1968) - da paesaggi ad olio dal forte accento informale, in cui il colore prende forma per densi grumi di materia pittorica.
Queste prime prove cedono successivamente il passo ad una singolare sperimentazione sui materiali, mai più abbandonata. Alla fine degli anni Settanta risale una serie di pannelli in compensato popolati da silhouette di parole, figure umane ed animali: tutti elementi intagliati nel polistirolo e in seguito dipinti con vernici. L’elemento verbale, qui introdotto per la prima volta con connotazioni talora politiche, talora poetiche, negli anni seguenti diventerà un’altra costante dell’artista, sebbene sempre rinnovata nella forma. Parallelamente, negli stessi anni, l’apertura a materiali extra-artistici approda anche alle prime opere scultoree. Le reliquie a colori della società dei consumi, i piccoli scarti quotidiani vengono recuperati da Tòs come elementi intrinseci dell’opera. Del 1978 è ad esempio L’aquila elettrica, un cinereo rapace abbozzato con la plastilina, il cui piumaggio è costituito da una fitta serie di lampadine in varie forme.
Negli anni Ottanta si assiste a un quasi totale abbandono della tridimensionalità e, di conseguenza, della ricerca polimaterica. A questa nuova stagione risalgono svariati disegni su carta, opere segnate da un’astrazione spiccatamente decorativa che ha come elemento base l’espressività del colore, steso attraverso diverse tecniche, dai pastelli alle chine colorate, dai pennarelli ai colori acrilici. In molte di queste creazioni ricorrono frammenti lirici trascritti dall’artista -Puskin, Cardarelli, Sandburg, Heine, Hikmet, Baudelaire e Verlaine sono solo alcuni degli autori citati-, inseriti nell’opera come elemento grafico-poetico, in stretta simbiosi con il resto della composizione. Oltre un centinaio di questi lavori, realizzati su fogli di recupero tra il 1983 e il 1988, sono stati inseriti nel percorso espositivo come “tappeto” su cui poggiano le opere tridimensionali.
A partire dagli anni Novanta si assiste a un forte ritorno, mai più abbandonato, alla polimatericità, costituita generalmente da oggetti di scarto. Ma, se negli anni Settanta questi fungevano da elemento accessorio, ora, al contrario, tali materiali diventano il linguaggio attraverso il quale imbastire aggraziati ed ecologici teatrini dell’effimero. Impossibile elencare tutti gli oggetti che costituiscono tali assemblages, formati sia da scarti della natura, come gusci di pistacchi, conchiglie e cortecce, che dell’uomo, dai tasti di macchine da scrivere a telefoni cellulari fuori uso. A volte sono perfino i colori ad essere in qualche modo inventati: emblematico il caso di una mistura di vinavil, segatura, fondi di caffè e spezie con cui Tòs dona una patina terrosa e al contempo anticheggiante a molte delle sue opere.

Queste piccole Wunderkammern private vivono dell’alchimia della materia e del colore, un colore che si presenta sempre puro, luminoso al punto da giocare con la stessa luce, come nei molti lavoriincludenti specchi, vetri -alcuni lavori sono stati realizzati esclusivamente con tale elemento- e, più recentemente, frammenti di compact disc.
Se molti di questi assemblages si presentano come puri, mirabolanti arroccamenti di oggetti accarezzati dal colore, in altri casi in maniera arcimboldesca l’artista delinea con questi scarti riciclati animali e figure umane estrapolate dall’immaginario medievale. Talvolta il singolo soggetto viene superato a favore di una dimensione collettiva, come nel caso del piccolo gruppo che rivisita, in maniera ironica, la traslazione di un santo (2003).
Accanto a questa produzione che forzando un po’ le categorie potremmo definire scultorea, quasi sempre in piccolo formato, convivono altre opere, pure documentate in mostra, dotate di una qualche funzionalità: vasi, piatti, cornici, ferma-libri, portacarte, contenitori d’ogni sorta e perfino giocattoli, ovvero l’antico sogno mai assopito di portare a nozze l’arte con la quotidianità domestica. Soluzioni diverse, comunque tutte caratterizzate dall’incrostazione di materiali disparati, da un horror vacui decorativo, da un gusto neo-rocaille per l’elegante artificio.
Anche la produzione pittorica di Tòs degli ultimi tre lustri -non inserita nel percorso per motivi di spazio ma che speriamo di poter proporre in altra occasione- è segnata da un ludico accostamento di materiali preesistenti al segno pittorico, espediente che trova ideale applicazione nella tecnica del collage. Se non mancano innesti di elementi tridimensionali, dalla ghiaia ai frammenti di specchi, il materiale più ricorrente è, nelle opere in cornice, la carta: una carta solitamente antica, manoscritta o a stampa, dalle forti capacità evocative e, al contempo, decorative. In molti casi si tratta di semplici riproduzioni, estrapolate da cataloghi illustrati di librerie antiquarie; in altrettanti casi le inserzioni si avvalgono di materiale originale, scovato in soffitta o da qualche bouquiniste: pagine di antiche pubblicazioni mutile, in cui il rilievo degli inchiostri si confonde con quello del colore applicato dall’artista, ma anche frammenti di documenti manoscritti, talvolta corredati dai grevi timbri dell’ufficialità.