Tracce

Metamorfosi fotografiche di un segno

Mostra , Mostra fotografica
Tracce [ www.ilfotogramma ]

Metamorfosi fotografiche di un segno

Quel che amore tracciò in silenzio, accoglilo, che udir con gli occhi è finezza d'amore

(William Shakespeare)

Le “Tracce” che caratterizzano la nostra esistenza sono infinite. E infinite sono le accezioni di significato che questa parola può assumere. Sono tracce, fisiche, quelle lasciate dall’impronta di un uomo nel fango o da uno sciatore nella neve, oppure quelle che delimitano un campo sportivo o una determinata area; sono tracce, indelebili, quelle lasciate nell’anima da eventi traumatici o da ricordi che hanno caratterizzato le nostre esistenze; sono tracce, spesso persistenti, quelle lasciate dal tempo che, con il suo incessante lavorio sulla natura delle cose, ci consente di apprezzare come fosse in origine la materia.

Ci sono tracce per via filogenetica, che accomunano, nei tratti somatici ed in quelli caratteriali, due o più generazioni e ci sono tracce, pensando ad una lista che potrebbe scorrere all’infinito, drammaticamente irreversibili, sui guasti che l’uomo commina all’ambiente. Ovunque si volga lo sguardo, è sempre possibile scoprire delle “tracce”.

In questo composito e poliedrico panorama, in cui la “traccia” è tanto ricca semanticamente, quanto ineluttabile per qualunque ambito o attività umana, la scelta del tema 2015 da parte del “Fotogramma” di Nago-Torbole appare decisamente sfidante. Per diverse ragioni: il rischio, spesso latente in questo tipo di indagini, di regredire verso un’interpretazione tematica retorica e prevedibile, essenzialmente basata sull’esercizio formale o, peggio ancora, di trasformare l’ambito di ricerca in un tema libero, proprio in virtù delle possibili declinazioni che le “Tracce” portano con sé. Tuttavia, considerando la grande maturità che caratterizza questa associazione nell’esercizio della propria ricerca visiva (che quest’anno ha intrapreso in piena autonomia e senza alcun supporto curatoriale), nessuno dei pericoli in agguato ha avuto modo di manifestarsi.

La rassegna proposta dal “Fotogramma” possiede, certo con inevitabili ed eterogenee declinazioni, un’adeguata pluralità di interpretazioni concettuali e un “tono” filologico che la rendono interessante e variegata. Con alcune punte di eccellenza, laddove si assuma che alcune proposte offrono soluzioni decisamente originali e di elevata raffinatezza tecnico-compositiva, grazie alla costruzione di “micro-racconti” addensati in frame visivi (trittici o polittici) di indiscutibile bellezza (Paolo Benaglio, Maria Luisa Crosina, Sonia Calzà, Laura Zinetti).

Fra le tracce di questo variegato percorso espositivo ve ne sono alcune, molto intriganti, declinabili come “ferite”: tracce indelebili che riguardano un corpo (bellissima l’immagine di Salina De Agostini sugli esiti di un parto cesareo con la madre che sorregge il figlio e interessante l’immagine di Eddy Rosà sul tatuaggio), o quelle di una distruzione psichica, quasi certamente frutto di una violenza subita (drammatica e ricca di un pathos, a questo riguardo, la rappresentazione scenica, a scatto singolo, di Paola Santoni).

In una sorta di “auto-tutela” non mancano le riflessioni sulle tracce dell’uomo e di ciò che egli residua, come traccia appunto, della sua devastante (in)civiltà. Da osservare, e meditare, il trittico di Andrea Benuzzi, con un angolo di ripresa che rende accattivante la scena oggetto della sua analisi, caratterizzata dai rifiuti lasciati, come “traccia sociale”, dagli umani.

L’azione di interpretazione condotta verso una dimensione più formale del tema, ivi comprese le tracce fisiche, vede la restituzione di ottimi lavori, fra i quali vanno sottolineati quelli di Guido Benedetti, Diego e Matteo Calzà, Daniele Zeni, Denjse Ferretti, Carlo Meloni, Donna Ivana e Carlo Michelini, con incursioni che fanno accedere lo spettatore ad una rappresentazione della “traccia” in chiave estetica e concettuale.

Altri tre filoni, anch’essi tutti interessanti, assegnano alle “Tracce”, diversi piani di lettura: la prima, quella di essere un passe-partout mnestico per i nostri ricordi, basandosi su indizi di natura segnica e che conducono lo spettatore, attraverso l’uso di immagini/traccia che regolano i piani della memoria e di ciò che è accaduto un tempo lontano (Paolo Baldessarini, Fausto Rigatti, Marco Vecchi, Tomas Scrinzi, Lavinia Lemnete); la seconda agisce sulle tracce “filogenetiche” della nostra identità fisica e sociale. Sono scatti che pongono in relazione caratteristiche fisiognomiche, sia sotto il profilo dell’impronta genetica, sia nel tempo dell’attesa di una maternità, anch’essa riconducibile a tale dimensione (Sonia Zampedri, Laura Parisi). Una traccia di speranza, emblematica e coloratissima, ci perviene infine dall’immagine di Norma Todeschi che, idealmente, possiamo pensare possa chiudere questo percorso: rappresenta un’infinita serie di biglietti post-it, appesi da bambini durante l’Expo di Milano. E’ una traccia bellissima, ideale e densa di aspettativa, che dobbiamo percorrere, considerando i dati sul nostro malato pianeta, con grande determinazione: per lasciare alle generazioni future un posto migliore per vivere, rispetto a quello che abbiamo ricevuto in eredità e che, ancora troppo lentamente, abbiamo intuito di dover cambiare.


organizzazione: Il Fotogramma