Troiane

Teatro

Stagione di Prosa di Bolzano 2012/2013
La Grande Prosa

Teatro Stabile di Bolzano
Troiane
di Euripide
traduzione Caterina Barone
regia Marco Bernardi
scene Gisbert Jaekel
costumi Roberto Banci
suoni e immagini Franco Maurina
luci Lorenzo Carlucci
con Patrizia Milani, Carlo Simoni, Sara Bertelà, Corrado d'Elia

La più radicale denuncia dei disastri della guerra

Le Troiane sono considerate dalla critica moderna uno dei capolavori di Euripide. Macerie fumanti, corpi abbandonati, pianti e grida di dolore: Troia in fiamme come emblema della caduta di un regno, come luogo archetipico della distruzione e del saccheggio. A partire dal materiale mitico della tradizione arcaica, la drammaturgia di Euripide presenta al pubblico lo spettacolo dei crimini di guerra e la deriva di una popolazione devastata. Rappresentata nel 415 a.C. all'indomani del massacro della città di Milo da parte di Atene, Troiane porta in scena la guerra vista con l'occhio degli sconfitti. Con un rivoluzionario cambio di prospettiva, l'ateniese Euripide comincia la tragedia là dove "L'Iliade" di Omero finisce: Troia è già caduta e della città non rimane che un rogo immenso. I troiani giacciono morti dopo l'immane carneficina; le loro donne, folli di dolore, attendono prigioniere di conoscere il proprio destino. L'orrore e lo strazio sono focalizzati nella prospettiva delle vittime, dei corpi umiliati e spogliati delle loro identità, delle soggettività ridotte a voci sofferenti quanto inermi. La tragedia di Euripide urla una denuncia radicale della guerra: è un dramma universale, in cui ogni epoca può rispecchiarsi. Il destino dei vinti si articola in un defilé di figure femminili che rappresentano altrettanti ruoli e altrettante esperienze travolte dalla spirale della violenza. Ecuba, Andromaca, Cassandra: una regina privata del trono, una vedova cui viene ucciso l'unico figlio, una figlia ritenuta da tutti una povera pazza. Su tutte incombe il trauma della perdita e dello sradicamento: la partenza verso un altrove che significa schiavitù e miseria. Nella condizione di una totale impotenza restano solo il lamento, le grida di dolore, le imprecazioni rancorose, i paradossi di una ragione allucinata, l'urgenza emotiva di dirsi e di raccontare un'ultima volta la propria storia e il proprio diverso passato. Nessun tribunale di guerra potrà riparare la catastrofe e l'umiliazione di queste donne. Nessuna possibilità di denunciare colpe e responsabilità. La guerra è stata voluta dagli dei, ribadisce Elena protetta dalla sua inossidabile bellezza. Nelle fiamme del rogo finale, costruzioni teologiche e mediazioni politiche crollano insieme alle case e agli edifici della città. A sedici anni di distanza, Marco Bernardi torna a confrontarsi con una tragedia classica. Era il 1996 quando diresse una "Medea" intensa e moderna, interpretata da Patrizia Milani, Carlo Simoni e Chiara Muti. Ancora una volta Euripide, ancora una volta l'universo femminile in primo piano come cartina di tornasole dei conflitti della nostra società. Ancora una volta il dramma dello straniero, del "barbaro" o del diverso, simbolo dell'emarginazione e della brutale sottomissione dei più deboli.