Ucraina. La guerra che non finisce”
Oggi cadono due anniversari: quello del 24 agosto 1991, quando 31 anni fa la Verkhovna Rada, il Parlamento della Repubblica socialista dell’Ucraina proclamò l’indipendenza del paese; e quello del 24 febbraio 2022, che segna i sei mesi di aperta invasione della Federazione Russa.
In realtà la guerra non è iniziata sei mesi fa, bensì il 27 febbraio 2014 quando la Russia inviò le proprie truppe senza insegne a prendere il controllo della Crimea, cui fece seguito il 18 marzo l’Anschluß della penisola con l’annessione alla Russia, non riconosciuta dalla comunità internazionale, in quanto illegale e in violazione della Carta dell’ONU. A questo atto di guerra, il 6 aprile fece seguito l’inizio del conflitto nel Donbas, con Mosca ad alimentare, organizzare e armare le milizie separatiste.
L’imponente invasione dello scorso febbraio, reiteratamente smentita da Putin nelle settimane precedenti, si trasformò velocemente in un primo fallimento militare. Kyiv, la capitale, non cadde; il presidente Volodymyr Zelens’kyj non venne catturato dalle truppe speciali di Mosca e restò al suo posto, rifiutando l’offerta di esfiltrazione avanzata da Washington, a guidare la resistenza all’invasore. L’attore si trasformò in uno statista e il cambio di regime voluto da Putin non si materializzò. Invece, le truppe russe si dovettero confrontare con la resistenza di una intera nazione. Il progetto di russo di cancellare l’Ucraina dalla carta geografica dell’Europa e di annientare la nazione, come Hitler e Stalin fecero nel 1939 con la Polonia, fallì.
Da quel momento i comandi di Mosca sono stati costretti ripetutamente e rivedere i loro piani, revisioni accompagnate dalla caduta, una dietro l’altra, di molte teste di generali. A metà marzo gli ucraini iniziano a ricacciare indietro le preponderanti forze di invasione e alla fine del mese sostanzialmente si esaurisce la minaccia su Kyiv. Nello stesso periodo gli ucraini liberano parte del nordest del paese. Le uniche vittorie russe sono nel sud, dove prendono Mariupol’, e utilizzando la Crimea come trampolino, conquistano l’oblast’ di Kherson, arrivando fino alla centrale nucleare di Zaporizhzhya, la più grande d’Europa.
Nella prima fase dell’invasione Mosca schiera truppe di eccellenza, dai paracadutisti agli Spetsnaz, ai reparti della Guardia. Ma l’imponente dispiegamento è segnato da disorganizzazione, deficit di comunicazioni, mezzi non adeguati e scollamento fra truppe sul campo e l’aviazione. Di fronte alle operazioni russe rispondenti ancora alle dottrine sovietiche, gli ucraini si dispiegano sul terreno in piccoli gruppi, che con straordinaria efficacia impiegano i sistemi di arma forniti dall’Occidente, ad esempio i missili portatili Javelin che hanno fatto una vera e propria strage di mezzi corazzati e carri armati del nemico.
In aprile la situazione si complica per Kyiv, con le truppe di Mosca concentrate nel Donbas. Il 20 maggio cadono le acciaierie Azovstal: il destino dei circa 2500 combattenti fatti prigionieri dai russi sarà terribile. Sottoposti a torture, uccisi nella strage del carcere di Olenivka, adesso stanno per essere “processati” in una grottesca replica dei processi farsa del grande terrore staliniano. L’Alto commissariato dell’ONU per i diritti umani ha dichiarato ieri che un processo ai prigionieri tutelati dalla Convenzione di Ginevra sarebbe “un crimine di guerra commesso dalla Russia”.
La seconda fase della guerra è caratterizzata da un enorme impiego di carri armati e artiglieria russa. Si ricorre ai magazzini, zeppi di vecchi carri stoccati fin dalla fine della Guerra fredda, alcuni dei quali risalenti agli anni cinquanta, perché le sanzioni hanno fermato le linee di produzione dei nuovi carri armati nella grande fabbrica di Chelyabinsk e anche la riparazione dei mezzi danneggiati. Sono armi vecchie, ma adeguate alle tattiche russe che, come quelle sovietiche d’un tempo, mirano alla “saturazione del campo di battaglia”, sistematicamente radendo al suolo tutto ciò che hanno davanti, soprattutto le infrastrutture e gli insediamenti civili, con il duplice obiettivo della distruzione totale e di terrorizzare la popolazione. In questo periodo è evidente la sproporzione fra i colpi sparati dagli aggressori e quelli degli ucraini: da maggio ne hanno sparati una media di 30-40mila al giorno, con picchi che superano i 50mila (contro i circa 5mila degli ucraini). Quella russa è una progressione fatti di lenti avanzamenti, costosa, ma comunque una progressione.
A giugno iniziano ad arrivare moderni armamenti occidentali e verso la metà del mese riprende l’iniziativa ucraina, mentre i russi non si arrestano nel Donbas. I nuovi sistema d’arma di Kyiv trasformano il conflitto in una guerra di posizione, e così gli ucraini iniziano una controffensiva verso Kherson, che costringe Mosca a spostare armi e soldati, alleggerendo la pressione nel Donbas.
In questo agosto gli ucraini, grazie a droni e missili e anche a qualche unità partigiana dietro le linee nemiche, riescono a colpire alcune basi russe in Crimea. Almeno dal punto di vista psicologico è una svolta. Intanto la guerra continua a mietere vittime in grande numeri. Valutazioni attendibili (le cifre ufficiali ancora mancano) stimano fino a 80mila i soldati russi feriti o uccisi, mentre le perdite ucraine si avvicinerebbero ai 50mila. È interessante raffrontare l’invasione dell’Ucraina con quella dell’Afghanistan: nei quasi dieci di quella guerra Mosca perdette 15.041 soldati.
Seppure in numeri limitati sistemi d’arma sofisticati e precisi come gli Himars permettono gli ucraini di colpire in profondità le retrovie degli invasori. Kyiv così dimostra una crescente capacità di attacco: le nuovi armi unite ai micidiali droni turchi Bayraktar hanno devastano aeroporti, depositi di munizioni, infrastrutture e basi militari, fra cui quella dei mercenari della Wagner a Popasna. Attacchi sono stati anche condotti nell’oblast’ russo di Belgorod, colpendo un deposito di munizioni e costringendo le autorità locali ad evacuare Staryi Oskol e Timonovo. L’elenco di queste recenti operazioni è lungo, a partire dalla messa fuori uso per il traffico pesante di alcuni ponti di rilevanza strategica per i rifornimenti russi, in particolare quelli che collegano la zona di Kherson alla Crimea.
Sono trascorsi soltanto sei mesi dal 24 febbraio, ma sembra un tempo eterno, al punto che a questa guerra nel cuore dell’Europa non si presta più la dovuta attenzione: la guerra sembra essere diventata un’abitudine.
Discutono di queste vicende Giovanni Kessler e Fernando Orlandi. Modera Paolo Morando. L’incontro-dibattito “Ucraina. La guerra che non finisce” si terrà a Levico Terme, venerdì 26 agosto 2022, alle ore 20,30, nella Sala consiliare del Municipio di Levico Terme (Via G. Marconi 6). L’incontro è organizzato dalla Biblioteca Archivio del CSSEO in collaborazione con la Biblioteca comunale di Levico Terme e La piccola libreria.
Per la partecipazione all’incontro è necessario indossare la mascherina FFP2.
L’incontro-dibattito può anche essere seguito in diretta sulla piattaforma Zoom, al seguente link: https://us02web.zoom.us/j/87154096057?pwd=MEFYQVl0SDV5TzV5OVpZdlFpVSt3UT09
ID riunione: 871 5409 6057
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