Ucraina. La guerra infinita
La propaganda del Cremlino sostiene che i massicci bombardamenti che nelle passate notti hanno investito Mykolaiv e Odessa e i loro porti commerciali sono stata una rappresaglia per l’attacco al Ponte di Crimea. In realtà questi attacchi sembrano costituire una precisa minaccia verso le future esportazioni di grano e cereali ucraini: Odessa, infatti, è uno dei principali porti di esportazione, giusto bersagliato poche ore dopo l’annuncio del Cremlino di sospendere gli accordi, una decisione duramente criticata dall’ONU, che teme le gravi conseguenze sulla sicurezza alimentare globale, soprattutto per alcuni paesi dell’Africa e del Medio Oriente. La Russia di Putin ha così deciso di impegnarsi pure nella guerra alimentare utilizzando l’arma della fame. Lo testimonia la dichiarazione in cui si minaccia di colpire qualsiasi naviglio che tenterà di trasportare derrate alimentari attraverso il Mar Nero: per Mosca ogni nave commerciale diretta verso un porto ucraino è un potenziale cargo militare al servizio del nemico. Nel solo porto di Chernomorsk sono andate in fumo oltre 60mila tonnellate di grano.
La guerra che nei piani del Cremlino doveva essere vinta in mezza settimana prosegue da oltre 500 giorni, ed è una guerra di distruzione totale contro l’Ucraina, mentre Kyiv si prepara alla controffensiva, in un contesto particolarmente ostico. Dovendo affrontare le grandi difese approntate nei mesi scorsi dai russi e non disponendo della cruciale copertura aerea, gli ucraini avanzano lentamente, da una parte sminando e dall’altra colpendo l’aggressore nelle retrovie. Nel frattempo Mosca punisce le aziende occidentali che solo adesso hanno deciso di lasciare la Russia, cercando di vendere fabbriche e proprietà. Hanno voluto tenere i piedi in due staffe e ora il Cremlino le espropria. È il caso del colosso agro-alimentare francese Danone e dell’azienda danese Carlsberg, cedute da Putin a Yakub Zakriev, il nipote del padre-padrone della Cecenia Razman Kadyrov, e a Taimuraz Bolleov, un amichetto del presidente fin dai tempi in cui questi ritornò a Leningrado dopo gli anni trascorsi a Dresda per il KGB. E poi Aleksei Naval’nyi, nuovamente condannato.
Vladimir Putin voleva partecipare al vertice dei BRICS in Sudafrica, ma i sudafricani non se la sono sentita di andare contro la Corte Penale Internazionale, che ha spiccato un mandato di cattura per il capo del Cremlino. Putin si ritrova, pur in casa di amici, ad essere respinto, restando il paria della scena internazionale. In effetti, anche in casa propria, il sistema di potere di Putin inizia a manifestare delle crepe, messe in evidenza dall’abortita marcia su Mosca di Evgenii Prigozhin. Il suo potere non è stabile come recitano i mantra quotidiani della propaganda. Immediatamente prima della marcia su Mosca del 24 giugno, e dopo mesi di denuncia della corruzione ai vertici del Ministero della difesa russo, Prigozhin aveva messo in dubbio le reali motivazioni dell'invasione dell'Ucraina, smentendo la narrazione sull'inizio della guerra. In un filmato pubblicato nel suo canale Telegram, il capo dei mercenari del Gruppo Wagner, ha ridicolizzato le affermazioni secondo cui Kyiv stava progettando di lanciare un’offensiva sui territori ucraini controllati dalla Russia: “Non è successo nulla di straordinario alla vigilia del 24 febbraio”, non c’è stata nessuna aggressione ucraina, ha affermato Prigozhin, aggiungendo che “l’operazione speciale è stata avviata per un motivo completamente diverso". La guerra serviva ai clan al potere in Russia per arricchirsi ulteriormente, dopo avere saccheggiato il Donbas fin dal 2014.
Indubbiamente il 24 giugno resterà segnato nella storia della Russia. Prigozhin e la sua creatura si rivoltano contro il loro finanziatore, che fugge da Mosca alla volta del Valdai, non prima di averlo bollato come “traditore” e “rinnegato”, e subito dopo venire a patti, nello sconcerto generale della popolazione.
Questa vicenda ci dice della fragilità e vulnerabilità del sistema di potere di Putin e del fatto che il clan al potere non è compatto. Ci testimonia questa situazione la facilità con cui Prigozhin e suoi hanno preso il quartier generale del distretto militare di Rostov sul Don senza sparare un solo colpo e come pressoché indisturbati si sono velocemente diretti verso Mosca, mentre la popolazione sembrava sostenerli. I comandi militari sul territorio attraversato e gli apparati della sicurezza di stato si sono astenuti dall’intervenire, sono rimasti alla finestra, spettatori di una lotta per il potere, in attesa di capire chi sarebbe stato il vincitore. Solo nei pressi di Voronezh una delle tre colonne della Wagner che si dirigeva verso Mosca è stata attaccata dall’aviazione russa. Erano preparati, e senza perdite, hanno abbattuto sei elicotteri (alcuni Mil-8/17 per il trasporto di truppe, uno attrezzato per la guerra elettronica, e due da attacco, un Kamov Ka-52 e un Mil Mi-35) oltre a un prezioso Ilyushin Il-22M (uno dei 12 in servizio in tutta la Russia), che fungeva da centro di comando.
Una situazione, quella del mese scorso, che evoca quella dei tre giorni dell’agosto 1991, quando il Comitato statale per lo stato di emergenza si impossessò del potere (in realtà era già al potere, perché tra gli otto componenti c’erano il capo del KGB Vladimir Kryuchkov, il ministro degli interni Boris Pugo e il ministro della difesa Dmitrii Yazov). Anche allora non era chiaro chi avrebbe vinto e chi avrebbe perso, e così i militari non si schierarono, proprio come è accaduto il 24 giugno. Che poi il confronto si sia concluso con uno stallo non cambia nulla da questo punto di vista.
Le dichiarazioni di Prigozhin, soprattutto, hanno gettato una luce diversa sulla verità della guerra, hanno detto ai russi delle menzogne di Putin e della sua propaganda. L’imperatore è stato messo a nudo e la sua reputazione pesantemente danneggiata. Non solo Prigozhin ha smascherato la narrazione ufficiale del Cremlino; ha dimostrato pure che il presidente non è più in grado di controllare i suoi uomini.
Vedremo se la fallita marcia su Mosca di Prigozhin si riverbererà, come possibile, sulla
scena politica moscovita e nella lotta per il potere. Intanto, l’ex colonnello dell’FSB Igor’ Girkin, alias Igor’ Strelkov, condannato per l’abbattimento del Boeing-777 della Malaysia Airlines il 17 luglio 2014, e che svolse un ruolo di primo piano nei primi anni della guerra nel Donbas, si è riciclato come commentatore in un suo canale Telegram, dove imputa gli insuccessi militari in Ucraina alla corruzione della classe politica, un argomentare non molto diverso da quello di Prigozhin. Per Girkin, Putin è “un pidocchio”, un “inutile codardo”: se la situazione non muta, la Russia non sopravviverà ad un altro suo mandato presidenziale: “per 23 anni una non-entità è stata a capo del paese”.
La guerra russa in Ucraina non è iniziata il 24 febbraio del 2022, militarmente è iniziata nel 2014, e le sue radici affondano nella fine dell’Unione Sovietica, che molto fu dovuta proprio agli ucraini. Per comprendere il contesto storico di questo conflitto, il Comitato per la Pace e l’Accoglienza - Altopiano di Pinè, in collaborazione Biblioteca Archivio del CSSEO, organizza venerdì 21 luglio, alle 20,30, nella Sala Pinè Mondiale di Baselga di Pinè, l’incontro-dibattito “Ucraina. La guerra infinita”. Interviene Fernando Orlandi.