Un'etica per la vita civile: Benedetto Croce e la pratica della cultura

Convegno

Benedetto Croce filosofo europeo

Giusy Furnari, Università di Messina

Venerdì 30 marzo ad ore 12.00 presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento (via S. Croce 65) si terrà il quarto incontro del ciclo “Storia d’Italia e pensiero civile”, dedicato al filosofo Benedetto Croce in occasione del 60° anniversario della sua morte.

Il seminario è tenuto da  Giusy Furnari, docente dell’Università di Messina nota in Italia e in Germania per i suoi studi sullo storicismo e la figura di Croce. Il titolo della sua relazione sarà “Un’etica per la vita civile. Benedetto Croce e la pratica della cultura”.                          

L’incontro, organizzato dal Dipartimento di Filosofia, Storia e Beni culturali dell’Università di Trento in collaborazione con la Fondazione Museo storico del Trentino, si rivolge agli studiosi interessati e alla cittadinanza per una riflessione sulla storia della cultura italiana a sessant’anni dalla morte di Benedetto Croce.
L’iniziativa è valida per lo svolgimento delle attività didattiche  previste per le  attività di aggiornamento, per la laurea specialistica e per la scuola di dottorato in Studi umanistici.

Intervista a Giusy Furnari
di Elisa Bertò
• Nei suoi studi su Benedetto Croce emerge che il filosofo colloca la propria produzione filosofica e la propria ricerca nell’ambito della modernità. Può dirci a suo avviso i caratteri moderni del proprio tempo che Croce più ha sottolineato ed ha analizzato nel passaggio dall’Ottocento al Novecento ?
Direi che la domanda che lei mi pone non è propriamente “crociana”; non è crociana nel senso che - come Croce l’ha teorizzata e come l’ha praticata - la filosofia, come metodologia della storiografia e come giudizio storico è sempre contemporanea: nasce dall’interrogazione dei problemi posti dalla vita presente e tende a rispondere ad essi. In questo senso parlare della produzione filosofica di Benedetto Croce, come un “repertorio” di connotazioni che va sistemato in un non ben definito concetto di moderno, mi sembra improprio, fors’anche fuorviante. Ogni pensatore è contemporaneo, nella misura in cui risponde alle domande che ci vengono poste dal presente.

• Questi caratteri oggi sembrano “inattuali”. La storia come pensiero e come azione, dotati di senso, è stata messa in discussione in Italia dal pensiero debole e più in generale dal pensiero postmoderno. A partire da Croce possiamo ancora parlare di una “ragione” nella storia?
Anche qui avrei qualcosa da dire sulle etichette - pensiero debole, post-moderno - che rinviano per contrapposizione a una ben precisa qualificazione del “forte “ e del “moderno”.
Possiamo parlare di una ragione storica?- Lei mi chiede. Croce ha guardato alla storia come al luogo in cui prende concretezza e si rende manifesto lo “spirito”, ossia il “fare” (nel senso vichiano del termine), in cui si ritrovano insieme passato, presente e preparazione del futuro. Ciò implica che tra il fare e il pensare si colloca il giudizio storico come attività in cui la conoscenza prepara, orienta l’azione senza tuttavia determinarla. L’agire come atto implica sempre responsabilità. La conoscenza, che non è mero conoscere strumentale, ma è riempimento critico e risposta a problemi del presente rende “pensata” la scelta di azione.

• Il testo di Croce Contributo alla critica di me stesso colpisce per la relazione con cui il filosofo concepisce la realtà del soggetto. Quello che Lei definisce “storicismo etico”, può essere considerata la “ grande narrazione” con cui Croce definisce l’”autore”. Secondo Lei la tesi di Croce regge oggi di fronte alla problematica antistoricistica della ”morte del soggetto”?
Il Contributo alla critica di me stesso, mi sembra risponda innanzitutto a un bisogno etico del filosofo. Una pratica a “invigilare se stesso”, simpaticamente paragonabile alla consuetudine cui egli era avvezzo, quando, piccolo allievo di scuola cattolica, annotava su un foglietto i peccati che avrebbe dovuto dire in confessione a fine settimana. La pratica della scrittura - esercitata in molte forme, dal saggio, al sistema, dalla critica letteraria, alla polemica, alla storiografia - trova nella forma crociana dell’autobiografia una notazione del tutto particolare in cui il soggetto non è l’io empirico - questo individuo particolare, la “transeunte individualità” , direbbe Croce - ma è l’io trascendentale.
In quanto alla “morte del soggetto”, non so se questa può essere considerata una questione “antistoricistica”, perlomeno non nel senso in cui si debba ritenere lo storicismo crociano che ha accettato la problematicità del divenire storico, la centralità, ma non la pienezza del soggetto; basti considerare, per un verso la posizione assai problematica che l’individualità ha in questo pensiero e lo spazio di interesse che Croce - ormai anziano, ma nel pieno di una rinnovata interrogazione filosofica, - dedica al tema della “vitalità”.