Un'ora sola ti vorrei

Cinema

Italia, 2002
Titolo originale: Un'ora sola ti vorrei
Genere: Documentario
Durata: 55'
Regia: Alina Marazzi
Sito ufficiale: www.unorasola.it

Liseli si è tolta la vita nel 1972 quando Alina aveva 7 anni, ma molte immagini di lei sono fissate per sempre nei film di famiglia girati dal nonno. Alina li ritrova, riporta tutto alla luce, li monta con abilità e con passione, presta alla madre la sua voce, la fa rivivere e consegna con grande amore e audacia la sua vicenda umana agli spettatori. «Non solo nostalgia per una mamma che non c’è e non c’è mai stata, ma anche nostalgia per tutto quello che è stato e che non tornerà, per quello da cui veniamo e al quale ci sentiamo più o meno consapevolmente legati. La nostalgia come sentimento necessario per il superamento di una perdita. La nostalgia come condizione essenziale per vivere». Premio per il miglior documentario al Torino Film Festival.

Un'ora sola ti vorrei
Intervista alla regista Alina Marazzi
di Barbara Sorrentini
Un’ora sola ti vorrei” tesse il ritratto di una donna. Liseli Hoepli in Marazzi è morta suicida quando aveva 33 anni e la figlia Alina ha voluto ricordarla ricostruendone la persona. Il film di Alina Marazzi ha già ricevuto parecchi premi: al Festival di Locarno, al Torino Film Festival e al Festival dei Popoli di Firenze. Recentemente è stato proiettato a Milano, nella sua città natale, a Film Maker Doc 7.
Alina Marazzi, che aveva 7 anni quando sua mamma si è lanciata dalla finestra in seguito a numerosi ricoveri per depressione, a 30 anni di distanza ha recuperato tutti i filmini che nonno Hoepli aveva girato in Super8, da quando Liseli era bambina. Dopo averli visionati, con tutto ciò che può comportare emotivamente, Alina li ha riversati in video per poterli montare. Quello che ne esce in 55’ è il ritratto di una donna borghese che non si è mai adattata al comfort e alla vita apparentemente facile offertogli dalla famiglia paterna. Ulrico Hoepli è il famoso editore milanese, con una piazzetta che porta il suo nome e dove si trova l'omonima libreria. Le immagini dai colori spenti e sgargianti, in bianco e nero e color seppia mostrano le vacanze al mare e quelle in montagna, i momenti sereni con i figli piccoli (Alina e Martino). Attraverso questi scatti in movimento passano quattro decenni: dagli anni ’40 agli anni ’70. I ricordi riaffiorano all’improvviso e commuovono, come se appartenessero alla memoria di ognuno di noi.
Alina Marazzi ha lavorato al montaggio di queste immagini rispettando l’aspetto poetico della storia, ha unito la sua voce che legge alcune pagine dei diari della mamma, qualche lettera ai figli quando era in ospedale, i referti psichiatrici e una lettera inventata, diretta a se stessa. E poi ci sono i suoni originali registrati all’epoca, delle canzoni e dei pensieri ad alta voce.

Qual è stato il percorso del lavoro?
Questo lavoro è nato un po’ per caso, nel senso che non avevo ben chiaro in mente di voler fare un film sulla storia della mia famiglia, o sulla storia di mia madre. Ma è successo che 4 o 5 anni fa mi sono resa conto che c’erano molti filmati girati da mio nonno materno e così ho cominciato a guardare queste vecchie pellicole, quasi tutte in 16mm tranne alcune in 8mm. Ho scoperto un piccolo tesoro cinematografico. Queste pellicole erano conservate nelle scatole, in un armadio a casa dei miei nonni e mi sono messa a curiosare. Ho cominciato a proiettare quello che trovavo con un vecchissimo proiettore e ho scoperto che erano immagini bellissime, ovviamente io ero alla ricerca di immagini della mia infanzia e dell’infanzia di mia madre per far rivivere alcuni ricordi che erano sepolti da molto tempo. E’ stato come se fosse letteralmente l’armadio dei ricordi, queste immagini in movimento mettevano in atto delle suggestioni e delle emozioni fortissime. Man mano che li proiettavo li riversavo amatorialmente su video e me li sono guardati parecchie volte. Fino a quando giorno ho chiesto ad una mia amica montatrice, Ilaria Fraioli, se voleva aiutarmi a fare un po’ di ordine tra queste immagini e ci siamo messe a lavorare. Abbiamo montato le immagini, che erano tutte mute, e abbiamo capito che avevano un potenziale emotivo e visivo e che potevamo continuare a cercare altro materiale e arricchirlo per fare un piccolo film che rimanesse nell’ambito personale, ma che poteva anche raccontare cose ad altri.

Ad accompagnare le immagini c’è una colonna audio fatta di voci, di tue letture di diari e documenti clinici. Anche lì c’è un lavoro di costruzione molto interessante, unito anche ad una parte musicale. Le scelte del commento sonoro si riferiscono a quel periodo di ricordi?
No, la costruzione del commento sonoro è venuta in un secondo tempo. Quando avevamo già fatto una selezione di immagini e a dargli un ritmo, ho cominciato a pensare a come potevo raccontare quella storia e mentre diventava sempre più chiaro che dovevo mettere in prima persona la vicenda di mia madre sono andata a rileggere i diari e le lettere che erano state conservate per 30 anni. Mia madre è morta nel ’72 e io ho cominciato a fare questo lavoro un anno e mezzo fa e alcuni diari li avevo già letti precedentemente. Così mi sono messa a rileggere tutto e a copiare tutto per capire come utilizzare i brani con lo scopo di far parlare in prima persona la voce di mia madre. Alla fine è stato così, perché nel film è come se parlasse sempre lei, c’è la mia voce che legge lettere e diari da quando lei aveva 12 anni fino a quando ne ha 33. Mentre lavoravamo alla selezione dei brani che arrivavano in sala di montaggio, man mano che alcune sequenze di immagini suggerivano l’accostamento con le parole, o viceversa, sentivamo l’esigenza di arricchire la colonna sonora con un tappeto di suoni e di musiche. Che poi ho aggiunto lavorando con un montatore del suono, che ha operato a più strati. Alcuni dei brani musicali che ho scelto hanno un valore affettivo per me, altri invece rimandano alle atmosfere del tempo. In più ci sono una serie di rumori, di suoni e di voci bisbigliate che abbiamo aggiunto come se si aprisse un baule da cui escono parole, pezzi di carta, fotografie, filmati, suoni, voci di bambini. Ci sono delle registrazioni che ho trovato, sempre a casa dei miei nonni, su un vecchio nastrino in cui c’era mia nonna che suonava il piano con delle voci che parlano sopra, oppure delle telefonate che avevano registrato. Tutto questo mi sembrava che c’entrasse con il modo in cui mettevamo insieme questo materiale della memoria.
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organizzazione: Associazione Nuovo Cineforum Rovereto