Un tram che si chiama Desiderio

Teatro

Sipario d'Oro 2011
Concorso

Compagnia dell'Eclissi di Salerno
Un tram che si chiama desiderio
di Tennessee Williams
con Leandro Cioffi, Lea Di Napoli, Marianna Esposito,
Ernesto Fava, Geppino Gentile, Andrea Iannone, Flavia Palumbo
allestimento scenico su progetto di Gerardo Fiore Roberto Lombardi
costumi e direzione di scena selezione musicale Angela Guerra Geppino Gentile
regia di Marcello Andria

Creatura fragile e inadeguata, che si tiene aggrappata alla vita mediante gli esili fili del sogno e della finzione, Blanche Dubois ha un passato inconfessabile, segnato da un trauma che ha lacerato in modo irreparabile l’illusione giovanile di un amore poetico e puro. Relitto di una famiglia (se non di un’intera classe) in declino, si vede costretta a cedere l’austera dimora degli avi, Belle Reve, dove ha conosciuto i fasti del prestigio e del benessere, e trova rifugio nell’alcol e in rapporti occasionali, divenendo oggetto di derisione e ostracismo sociale.
Sola e sconfitta, fugge disperata da quel mondo sordido, per raggiungere la sorella Stella, la quale, lasciandosi alle spalle la casa in rovina, si è rifatta un’esistenza in un’altra città con un immigrato, Stanley Kowalsky, uomo ruvido, inquieto, dall’esplicita e aggressiva virilità. Quando l’azione scenica ha inizio, Blanche irrompe nel microcosmo – fortemente radicato in una elementare ma vitale quotidianità – che ruota intorno alla giovane coppia. Presenza spuria e malgradita, genera malumori in particolare nel cognato, che da subito riconosce in lei e nell’instabilità della sua psiche turbata una seria insidia per la quiete domestica. Tramontata anche la possibilità di un’unione con l’ingenuo Mitch, vecchio amico di Stanley che si è lasciato abbagliare dal fascino effimero del suo rango superiore, Blanche subirà dapprima l’oltraggio estremo della violenza carnale, per essere poi espulsa come un corpo estraneo dalla piccola comunità, dove invano ha cercato riparo, e terminare la sua corsa affannosa in una casa di cura.
Dramma di grondante emotività, sempre sospeso sul filo di una tensione e di un furore al confine con l’allucinazione, Un tram che si chiama Desiderio punta sul contrasto fra due anime inconciliabili, espressione di ceti, mentalità, impulsi antitetici: l’una aristocratica per nascita e cultura, rappresentata nel momento desolante del tramonto; l’altra, in piena ascesa, concreta e avida di nuovi traguardi. Idealista e raffinata l’una, ma devastata dalla malattia del vivere; sana e rapace l’altra, orgogliosa del proprio vigore. Un conflitto riguardato attraverso la lente deformante di un coccio di vetro, sul cui fondo si deposita il residuo oscuro dell’esistenza e del sogno, del peccato e del senso di colpa: un ‘fondo di bottiglia’ che rimanda i bagliori illusori dell’apparenza e insieme offre un approdo, dolce e inebriante, all’umanità alla deriva.
Recidendo i legami con il preciso contesto ambientale che caratterizza marcatamente il testo originale di Williams, l’adattamento ha puntato ad essenzializzare la vicenda e il linguaggio, componendoli in una trama intimistica di impronta più europea, e mirando dritto all’interiorità dei personaggi. La vetrata che descrive il perimetro dell’azione scenica lascia appena trasparire un esterno più simbolico che reale: lo spazio indefinito che Stanley e i suoi amici dominano, l’altrove che Blanche teme e nel quale metaforicamente prima si perde poi scompare.