Una guerra dimenticata. I trentini nei Balcani

Secondo incontro del ciclo “L’ultimo fronte. Il Trentino nella Seconda guerra mondiale”

Incontri e convegni

Interviene Lorenzo Gardumi

Introduce Massimo Libardi

Nella memoria storica nazionale (e anche locale), si è sedimentata l'immagine di una seconda guerra mondiale combattuta su due fronti: nel deserto dell'Africa settentrionale, gli italiani furonosfortunati; nella sterminata steppa russa, essi divennero vittime. Africa e Russia sono i due poli principali su cui si è concentrata, dal dopoguerra in poi, l'attenzione della memorialistica reducistica, della letteratura e degli studi storici. Eppure, in ognuno di questi teatri operativi, il Regio esercito schierò poco più di 200 mila uomini, «pochi» se rapportati ai 600 mila uomini che stazionarono nei Balcani (1941-1943). Questo fu, concretamente, il vero fronte di guerra dell'Italia fascista nel quadro di un più generale progetto di conquista, assimilazione e risistemazione geopolitica che doveva condurre a realizzare tra l'Africa e i Balcani un nuovo ordine mediterraneo sotto l'egida di Roma.

Ora le mire espansionistiche italiane verso quest'area risalivano all'Italia liberale: il fascismo non fece altro che riprendere, aggiornandolo, un indirizzo già presente nella politica estera italiana. Fu solo a partire dalla seconda metà degli anni trenta che si chiarirono gli obiettivi dell'Italia mussoliniana. L'occupazione dell'Albania nel 1939 si prefigurava come un'iniziativa destinata a rilanciare il ruolo di Roma nei Balcani, malgrado le ambizioni egemoniche fasciste non fossero supportate tuttavia da una strumentazione (militare, economica, industriale, politica, morale) paragonabile a quella nazista. L'attacco alla Grecia e la successiva spartizione e occupazione nazifascista dei Balcani furono la massima espressione di quest'incapacità, del carattere diacronico della guerra italiana, del divario tra aspirazioni e mezzi.

Al pari dei connazionali, ritroviamo i trentini come coloni sull'isola di Rodi (1935-1947), rintracciamo la loro presenza nelle forze italiane sbarcate in Albania nell'aprile 1939, disponiamo delle loro fotografie scattate tra le montagne albanesi e poi, naturalmente, sul fronte greco-albanese (1940-1941) e nei territori conquistati di Grecia e Jugoslavia. L'esperienza dei trentini in questi teatri operativi fu segnata dalla brutalità, dalla violenza di un'occupazione dura, efferata, spesso contraddittoria, che doveva confrontarsi con movimenti di resistenza agguerriti, non di rado in competizione tra loro all'interno di una guerra civile ideologica, etnica, religiosa. Il trauma del ginepraio balcanico fu accompagnato dal dramma dell'8 settembre 1943 che gettò anche i trentini tra le braccia di un destino sfaccettato e molteplice: chi fu internato, chi si sbandò, chi morì sulle coste di Cefalonia, Corfù, Rodi, chi aderì alla guerriglia greca, albanese o titina, chi fu incorporato dai tedeschi come lavoratore coatto, chi riuscì a rientrare nell'Italia liberata e a fare ritorno a casa nelle fila dell'esercito alleato o italiano. Per tutti, un calvario d'infinite sofferenze che solo l'oblio postbellico poteva rendere più sopportabile. Purtroppo, dimenticare la guerra significò tralasciare non solo l'esperienza vissuta come vittime all'indomani dell'armistizio, ma anche quella sperimentata nel ruolo di carnefici. Che il mito del buono italiano (e del buon trentino) sia appunto solo un mito da smontare e ridimensionare, lo dimostra ampiamente la condotta del Regio esercito tra il 1941 e il 1943 nei Balcani, dove andò in scena una guerra a parte, una guerra diversa dalle altre, una guerra difficile da raccontarsi e da raccontare.

Costi

Ingresso consentito fino all’esaurimento dei posti a sedere


organizzazione: Biblioteca Archivio del CSSEO