Ungheria: Pericolo Orbán?
All'incontro-dibattito sull’Ungheria di oggi e di Viktor Orbán interverranno Bruno Dallago e Davide Zaffi, a introdurre Massimo Libardi
Un sondaggio del 7 marzo, realizzato da Nézőpont, assegna a Fidesz, il partito di Viktor Orbán ben il 52% delle intenzioni di voto alle imminenti elezioni del Parlamento ungherese (8 aprile).
Se il sondaggio troverà conferma nelle urne, ci troveremo dinanzi a una indiscussa vittoria di Orbán e del suo partito (nel 2012, comunque, conquistò i due terzi dei seggi). Una vittoria che non sembrava più così a portata di mano dopo il test elettorale di Hódmezővásárhely, cittadina di neppure 50mila abitanti, nel sud del paese, a una cinquantina di km. dal confine con la Serbia e la Romania.
A fine febbraio si era votato in questa roccaforte di János Lázár e di Fidesz (alle elezioni locali del 2014 aveva ottenuto il 61% dei consensi) ed era accaduto l’inaspettato: il 45enne Péter Márki-Zay, candidato indipendente sostenuto dall’intero spettro dell’opposizione, dai socialisti all’estrema destra, aveva ottenuto il 57,5% dei voti, contro il 41,5 per cento di Zoltán Hegedűs, l’uomo di Fidesz.
Ma quello di Hódmezővásárhely pare solo un incidente di percorso.
Alle prossime elezioni parlamentari la sfida sembra essere quella tra Fidesz e il partito di estrema destra Jobbik, mentre i partiti di centro e di sinistra si caratterizzano per le divisioni e la litigiosità inconcludente che segnano i loro rapporti. Jobbik, guidato da Gábor Vona, espressione della destra ultra-nazionalista sta cercando di riposizionarsi un po’ più al centro dello spettro politico, avvicinandosi a Fidesz su tematiche quali l’immigrazione, il rapporto con la Russia e il rifiuto del multiculturalismo. In questo ha assunto a volte posizioni grottesche, come quando Gábor Vona ha intimato al governo di scusarsi per il trattamento riservato ai rom, notoriamente bersaglio privilegiato del suo partito.
Al centro della campagna elettorale vi è anche George Soros, il plurimiliardario americano tra l’altro accusato dal Governo di incoraggiare, in combutta con la tecnocrazia di Bruxelles, l’arrivo in massa di migranti musulmani in Europa attraverso l’opera delle ONG. Alla battaglia ingaggiata contro Soros e le ONG da questi finanziate, si affianca l’attacco alla Central European University, l’università fondata negli anni Novanta da Soros che ha per scopo la diffusione della cultura liberale nei paesi che avevano riconquistato la libertà dopo il crollo del comunismo. Il tentativo di ostacolare le attività della Central European University ha anche provocato frizioni con Washington.
Ma Viktor Orbán sembra essere destinato a restare al centro della scena politica ungherese, a dispetto dei contrasti con Bruxelles.
Ma chi è Orbán? Ventiseienne, nel giugno 1989 (il paese era ancora “una repubblica popolare” e vi stazionavano le truppe sovietiche) fu tra gli oratori all’imponente manifestazione in cui si celebravano i leader della rivoluzione del 1956. Vi erano oltre 250mila persone in piazza, mentre il resto dell’Ungheria era incollato alla televisione. Il giovane Orbán ruppe due tabú: chiese il ritiro dei sovietici e libere elezioni.
Negli anni precedenti, da studente universitario aveva intessuto numerosi contatti con Solidarność, allora al bando in Polonia (interesse non solo politico; divenne anche oggetto della sua tesi di laurea, documentata da interviste di prima mano con i dirigenti del sindacato polacco). Fu così naturale per lui decidere di costituire un movimento per la democrazia. L’azzardo pagò: Fidesz nacque nel marzo 1988 e le autorità non intervennero. Due anni dopo si presentarono alle prime elezioni libere, ottenendo il 9% dei voti e 22 deputati.
Nel 1993 Orbán assunse la presidenza di Fidesz, con una piattaforma politica più conservatrice rispetto agli anni precedenti. L’anno successivo subì la sconfitta in una tornata elettorale che riteneva di vincere. Si avvicinò alla chiesa luterana, celebrò nuovamente il matrimonio con il rito religioso e battezzò i figli. Il restyling pagò: alle elezioni del 1998, a 35 anni, Orbán divenne il più giovane primo ministro dell’Ungheria.
Ma nel 2002 venne sconfitto dal Partito socialista. Nel giro di qualche anno il fallimentare governo socialista implose e l’Ungheria divenne il primo paese europeo a necessitare del bailout del Fondo Monetario Internazionale per la crisi finanziaria del 2008.
Si apriva così la strada per il ritorno di Orbán al potere, che alle elezioni del 2010 ottenne i due terzi dei seggi, una maggioranza che gli permetteva di riformare la Costituzione. Suscitando l’ira delle opposizioni modificò la legge elettorale, frutto di un compromesso negli ultimi mesi del regime comunista.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a una dialettica conflittuale tra Bruxelles e Budapest, a partire dalla legge sui mezzi di informazione fino alla questione delle quote dei richiedenti asilo. Mentre su diversi problemi Budapest ha cercato un accomodamento con Bruxelles, sulle quote ha rifiutato ogni compromesso. Senza successo ha anche fatto ricorso alla Corte europea di giustizia. Ma alla fine l’Unione Europea rischia di essere perdente: da una parte perché rafforza la popolarità di Orbán nel suo paese, mentre dall’altra Bruxelles alla fine non dispone dei mezzi per sanzionare l’Ungheria. Se anche iniziassero pure le procedure per sospendere dal diritto di voto Budapest negli organismi decisionali dell’UE, come è accaduto di recente per Varsavia, l’Ungheria troverebbe sponda nella Polonia, che eserciterà il suo diritto di veto: i due Stati hanno infatti raggiunto un accordo per tutelarsi reciprocamente.
Alle luce delle accuse mosse a Budapest e della narrazione dell’Ungheria che viene fatta dai mezzi di informazione italiani ed europei non possiamo non interrogarci su quanto sta realmente accadendo in quel paese. Insomma: davvero l’Ungheria rappresenta una minaccia? E Orbán, incarna davvero un populismo pericoloso?
organizzazione: Biblioteca Archivio del CSSEO - Trento