Ursa Major
Mostra di pittura di Annamaria Targher
Ursa Major
Annamaria Targher
L’Orsa Maggiore, ovvero la Grande Orsa
si potrebbe definire anche l’Orsa Madre.
Proprio così, perché di una madre si tratta.
Ursa Major (Orsa Maggiore) è la costellazione tipica dell’emisfero settentrionale, dove è visibile per tutto l’anno.
In Orsa, nella mitologia, viene tramutata colei che è nota per la sua inequivocabile bellezza, la ninfa Callisto; per aver tradito il proprio voto di castità congiungendosi a Zeus viene punita dalla compagna Artemide (secondo una versione del mito) o resa irriconoscibile dal dio stesso per tentare di sfuggire alla vendetta inevitabile di Era, la moglie tradita.
Presa con l’inganno dal dio, ridotta a preda e bandita dalle proprie sodali (Artemide e le ninfe) verrà poi colpita da una freccia e finita da costoro su ordine di Era, una volta venuta a conoscenza del tradimento.
L’Orsa è così il simbolo, quindi, di un destino crudele che si consuma malgrado la propria volontà e malgrado le proprie convinzioni.
Se per una parte del mito, Zeus stesso mandò, però, Ermete a trarre in salvo dal seno di Callisto morente, il loro figlio Arcade, in un’altra versione, il destino per L’Orsa – Callisto è ancora più crudele, paradigmatico, nonché paradossale: non venire più riconosciuta dal figlio, il quale, fuggendo, viene raccolto da una famiglia di cacciatori. Riconoscerà sua madre, lo sguardo amato, durante una battuta di caccia: il padre fermerà l’arco, prima che venga commesso un matricidio e, per tutelarli definitivamente, li condurrà in cielo.
L’Orsa Maggiore, ovvero la Grande Orsa si potrebbe definire anche l’Orsa Madre. Proprio così, perché di una madre si tratta.
Sulla scia dei recenti accadimenti e secondo quel filone che caratterizza la propria recente ricerca (per cui la rappresentazione di sé avviene sempre ed esclusivamente per il tramite dell’animale), Annamaria Targher pone un’Orsa in mezzo alla tela, ieraticamente, spesso isolata rispetto ad un contesto per nulla scontato e che diviene un banco di prova (una cartina di tornasole) della contemporaneità: sono, infatti, oggetti desunti e ritagliati specialmente dalla riviste “femminili” o dai sempre più diffusi e indispensabili abbecedari della buona e bella casa… L’Orsa ne è avvolta come in un turbinio, ma ne rimane stranamente incolume: nulla, infatti, scuote il suo lasciarsi andare. L’Orsa, pare proprio non curarsene, concentrata com’è su di sé, sull’abbandono del proprio corpo prima del lungo riposo invernale: quello stato di sonno profondo e prolungato che viene erroneamente scambiato come stadio di letargo. (Durante questo periodo, infatti, anche se l'organismo non assume cibo e liquidi, la temperatura corporea non si abbassa di molto e le funzioni fisiologiche, anche se ridotte, si svolgono secondo la norma. Inoltre, il sonno viene interrotto da più risvegli e l’Orsa è anche in grado di partorire 1 o 2 cuccioli riuscendo pure ad allattarli, nonostante il freddo).
L’Orsa assume pose non convenzionali, si sottrae al duro scadenziario dell’eterna lotta quotidiana per garantirsi la sopravvivenza per bastare, invece, a sé stessa e gustarsi inauditamente nella propria bellezza e auto contemplazione.
Nel linguaggio del tutto personale dell’artista, ritorna prepotentemente l’uso della tecnica artigianale dello stencil: sono soprattutto sagome di stelle che sostengono il volume del corpo, illuminandolo, e divenendo, di fatto e nella loro proliferazione, l’unico elemento di possibile raccordo con lo sfondo. Un concreto sostegno semantico così alla convinzione della divina e sempiterna unione tra l’animale e la sua corrispondente costellazione.