Václav Havel, il dissenso e l’idea di Europa

Incontri e convegni , Convegno

Fernando Orlandi discute con Sante Maletta

In occasione della pubblicazione di Havel. Una vita di Michael Žantovský (La nave di Teseo)

Per comprendere il particolare contributo che Václav Havel ha portato alla concezione dell’idea di Europa, occorre prendere le mosse dalla scuola di stampo fenomenologico alla quale apparteneva il suo maestro in campo filosofico, vale a dire Jan Patočka.

Il fondatore della fenomenologia Edmund Husserl parla di crisi delle scienze europee, vale a dire di crisi della capacità della ragione di stabilire criteri pratici e quindi di guidare la vita. Se le cose stanno così, la responsabilità umana diviene una mera illusione. Tuttavia, secondo Husserl, se si interroga il passato comune alle genti europee si scopre un senso che emerge a livello di consapevolezza per la prima volta con la nascita della filosofia in Grecia: l’episteme, la scienza, la conoscenza vera e rigorosa dell’intero. La coscienza del dislivello tra verità e sapere permette all’Europa di evitare di fossilizzare la verità in una determinata dottrina e di oltrepassare le proprie idiosincrasie. Tale tensione alla verità nella sua interezza tende a depotenziarsi soprattutto a partire dalla modernità. Questa, in nome dell’ideale dell’oggettività, ci spinge a considerare il fondo da cui la scienza con tutte le sue discipline emerge, il “mondo della vita” (Lebenswelt), come qualcosa di meramente individuale e soggettivo. Nasce da tale atteggiamento l’oggettivismo.

Dal punto di vista filosofico, il dissenso ceco si caratterizza come lotta contro l’oggettivismo e la conseguente svalutazione di tutto ciò che è soggettivo e personale; quindi non è casuale che in esso il momento culturale abbia il primato sul momento strettamente politico.

I dissidenti cechi affermano con decisione la loro piena appartenenza alla tradizione europea, e in tale prospettiva il comunismo non è un malattia passeggera o un incidente di percorso ma una conseguenza della crisi della tradizione europea che coinvolge tutti i paesi europei al di qua e al di là della Cortina di ferro.

La lotta contro l’oggettivismo si realizza come rifiuto del progetto di neutralizzazione morale della sfera politica e con la conseguente tecnicizzazione dello stato. La vera universalità, invece, è radicata nella Lebenswelt. Ecco quindi che la questione del mondo della vita allude a un orizzonte pratico che si apre a chi realizza certe possibilità esistenziali, le quali possono venire raccolte sotto un unico titolo, quello di cura dell’anima.

Un buon punto di partenza per parlare della cura dell’anima è focalizzarsi sul lavoro linguistico che implica: essa è infatti resistenza all’ideologia e al suo sistema simbolico-linguistico che lavora ad approfondire la banalizzazione. Non è per nulla stravagante allora affermare che la principale arma della cura dell’anima è l’arte, in particolare la letteratura, la quale opera nella direzione della salvaguardia della complessità e della ricchezza semantica del linguaggio. Il samizdat serve proprio ad assicurare la circolazione innanzitutto di testi letterari (racconti, poesie) che generano uno spazio di comunicazione interpersonale in cui non è richiesta la censura preventiva della propria prospettiva soggettiva.

L’arte permette lo sviluppo di un pensiero riflessivo profondo in cui il soggetto è in grado di avvicinarsi alla Lebenswelt, è capace cioè di un rapporto con sé e con il mondo fondato sull’intenzionalità originaria del mondo della vita.

E proprio tale rapporto con l’esperienza personale e quindi umana è capace di sollevare la questione della legittimità delle istituzioni e delle pratiche sociali.

Un nuovo senso si dà alla percezione e alla comprensione di chi ha saputo mettere in discussione tutto e di conseguenza vede le cose in modo assai diverso dagli altri, al punto da apparire come un folle. Emerge qui la dimensione del rischio, che appartiene strutturalmente alla cura dell’anima in quanto compito teorico e pratico, e in ultima istanza la dimensione del sacrificio.

Non va dimenticato che dopo l’invasione sovietica dell’agosto 1968 seguì un breve interludio e poi prese il via la cosiddetta “normalizzazione” – passo dopo passo l’intera società venne soffocata, avvolta da una cappa repressiva.

Se siamo portati a identificare il dissenso con l’area di opposizione politica ai regimi comunisti, questo in realtà copriva una galassia più vasta che riguardava anche la cultura giovanile, i giovani operai, gli artisti e gli scrittori che non si riconoscevano nei rigidi dettami del realismo socialista. I firmatari di Charta '77, il più importante movimento di dissenso ceco, erano sì cattolici, comunisti “riformisti” espulsi dopo l’invasione, senza partito, intellettuali, ma anche giovani operai, marginali, studenti, artisti e musicisti che avevano dato vita all’underground ceco.

“Alla fine degli anni sessanta – racconta Havel in un dialogo con Lou Reed – qui ci fu un’ondata di musica rock. Dopo l’invasione sovietica del ‘68, la maggior parte dei gruppi si sciolse o cominciò a suonare musica d’altro genere, poiché la buona musica rock era stata messa al bando. Ci fu un gruppo che resistette, che non cambiò nome, che non si trasformò. Il suo nome era Plastic People of the Universe. E fu di là che si originò un intero movimento sotterraneo durante i bui anni ‘70 e ‘80”.

Dopo la loro esibizione al Primo festival di musica della seconda cultura, la cultura non ufficiale, alcuni dei musicisti di questa band furono arrestati. Havel fu l’anima organizzatrice della campagna per i Plastic People. Lo stato totalitario fu sorpreso dal gesto imprevisto e contrattaccò dapprima diffamando la petizione e in un secondo momento perseguitando i singoli firmatari.

Le persone presenti in massa al processo dei musicisti prefiguravano già Charta ’77.

Dopo la diffusione del primo documento di Charta ’77 è un susseguirsi di interrogatori e di vessazioni. Ma il movimento vive anche di una ampia notorietà internazionale: così il ministro degli esteri olandese Max van der Stoel in visita Praga, deviando dal programma ufficiale, invita Patočka a un colloquio. Il mattino successivo l’anziano filosofo viene prelevato e interrogato per quasi dieci ore, un interrogatorio da cui ritorna debilitato e in preda ad una crisi cardiaca – probabilmente causata della brutalità stessa dell’interrogatorio. Ospedalizzato, le sue condizioni peggiorano e, dopo tre giorni di coma, nel pomeriggio del 13 marzo muore. È la prima vittima della nuova ondata repressiva.

Tutti gli esponenti più in vista del movimento sono preventivamente arrestati affinché non partecipino ai funerali. I colleghi stranieri di Patočka vengono espulsi, ma a ricordare “il Socrate di Praga” accorsero più di 1200 persone.

 

Queste temi sono affrontate nell’incontro-dibattito “Václav Havel, il dissenso e l’idea di Europa” che si svolgerà a Trento giovedì 25 novembre 2021, alle ore 17,30 nella “Sala dell’Aurora” di Palazzo Trentini (Via Manci 27).

 

Sante Malettainsegna Filosofia politica presso l’Università degli studi di Bergamo. È segretario della Redazione scientifica di “Prologos”. Tra le sue pubblicazioni: “Hannah Arendt e Martin Heidegger. L’esistenza in giudizio” (Jaca Book, 2001); “Biografia della ragione. Saggio sulla filosofia politica di MacIntyre”, Rubbettino, 2008); “Il giusto della politica. Il soggetto dissidente e lo spazio pubblico” (Mimesis, 2012); “Il soggetto dif-ferente. Peripezie della responsabilità” (Mimesis, 2016). Ha curato “Riscoprire l’Europa. Uno sguardo dall’Est” (La Casa di Matriona, 2019).

 

Michael Žantovský, Havel. Una vita (La nave di Teseo, 2021; rilegato, pp. 682, €25,00)

Costi

Per la partecipazione è necessaria l’esibizione del Green Pass