Valentino Rovisi nella bottega del grande Tiepolo. Il metodo di una vera e lodevole imitazione

Mostra

Patria di diverse generazioni di artisti, la Val di Fiemme vanta una singolare tradizione oltre che storica, per la presenza millenaria della Magnifica Comunità, anche artistica, avendo visto svilupparsi nel corso dei secoli una vera e propria scuola pittorica, assente in altre zone della regione. È in quest’originale cultura figurativa che si inserisce la figura e l’opera di Valentino Rovisi.
Valentino Rovisi (Moena, val di Fiemme 1715-1783) rappresenta un importante anello di congiunzione tra la pittura di Fiemme e la cultura figurativa lagunare. Sebbene altri vi soggiornarono fu egli infatti a creare un modo pittorico in cui ben evidenti erano le memorie veneziane, declinate però in un linguaggio più intimo e popolare, tale da caratterizzare per diverse generazioni la locale produzione artistica. Frequentatore già dodicenne dell’ambiente veneziano forse già nel 1727 è alla scuola di Giambattista Tiepolo ove rimase seppure non continuativamente per ben quattordici anni. Il primo soggiorno, dal 1727 al 1732-33 segna i suoi primi passi nel mondo dell’arte secondo il tradizionale percorso che prevedeva un periodo di garzonato di almeno cinque anni. Durante il secondo periodo veneziano (dal 1743 al 1752-53) l’artista si trovò a lavorare fianco a fianco con il celebre maestro: dal repertorio figurativo del pittore, Rovisi estrasse un proprio personale “modellario”, taccuino di studi che ripropose rielaborandoli durante tutta la sua lunga attività. La prolungata permanenza a Venezia e lo stretto rapporto con Tiepolo gli permisero, al suo ritorno in Val di Fiemme, di presentarsi quale sensibile e aggiornato interprete del maestro e della sua maniera che importò in Trentino Alto Adige e nel Bellunese.

IL METODO DI UNA VERA E LODEVOLE IMITAZIONE
“... ogni mattina ero il primo ad arrivare, e continuavo a dipingere senza sosta fino a sera, il che, con l’aiuto del mio istruttore, mi fece fare tali progressi, il primo che anno, che fui in grado di copiare altrettanto bene degli altri e persino meglio di certuni”.
Il brano del diario di Bullinger, che così puntualmente descrive quanto accadeva nella bottega di Tiepolo, la stessa entro la quale lavorò a lungo Rovisi, riporta la memoria ad un tempo lontano, circa trecento anni fa. Un tempo in cui il concetto d’epoca romantica di originalità non era ancora stato formulato; un’epoca in cui gli artisti si formavano attraverso lo studio tecnico ma anche “morale” delle opere dei maestri antichi o moderni.
Nel XVIII secolo la tradizione degli studi sulle copie muta referente e nella grande bottega di Tiepolo gli allievi apprendono un linguaggio contemporaneo, quello del celebre pittore veneziano, che nella propria opera aveva già inteso ripercorrere la grande tradizione figurativa veneta e proponeva ai suoi allievi il risultato della propria sintesi ed interpretazione. Il giovane Rovisi, nel suo secondo soggiorno nella città lagunare apprende nell’atelier del maestro una peculiare prassi artistica, quella della ricomposizione di modelli, prassi che il pittore fiemmese non abbandonerà mai durante tutto l’arco della sua lunga attività e che anzi, lascerà in eredità alla figlia Vincenza, anche lei pittrice. Rovisi seleziona fra le invenzioni del maestro alcuni impianti compositivi ma soprattutto alcune figure, studiandone la valenza spaziale e cromatica, spingendo ad un grado così profondo la comprensione del loro significato, il loro ruolo nella composizione, da sentirle come proprie creazioni. Rovisi non si limita ad una pedissequa citazione di figure e schemi desunti dal maestro, ma preferisce cimentarsi in una personale interpretazione del soggetto, dello spazio e della resa atmosferica, svolgendo una traduzione del modello in termini discorsivi, più congeniale al pubblico meno colto cui l’opera era destinata, inserendo inoltre un gruppo di popolani vestiti degli abiti dell’epoca, rendendo in tal modo più reale e concreto l’episodio narrato.

Il progetto di uno studio monografico e della relativa mostra sul pittore di Moena Valentino Rovisi, viene ad collocarsi in un’epoca di grande rivalutazione e riscoperta del Settecento fiemmese.
Sia la realizzazione di un volume monografico che il momento espositivo, non costituiscono infatti un evento sporadico ed isolato, bensì si inseriscono in quella serie di manifestazioni culturali già avviatesi a Cavalese nel 1995 con la mostra su Michelangelo Unterperger (Cavalese 1695; Vienna1758) e continuate nel 1998 con quella sul nipote Cristoforo Unterperger (Cavalese 1732; Roma 1798), nell’intento di riscoprire e presentare ad un pubblico sempre più numeroso l’arte dei pittori di Fiemme.
Tale iniziativa costituisce pertanto l’occasione per far conoscere l’esperienza artistica compiuta da questo valente pittore e dalla figlia che con la loro opera hanno impreziosito le più prestigiose chiese e facciate della Valle dell’Avisio, dell’Alto Adige, della Valle di Cavedine, della Valsugana e dell’Agordino, rappresentando pertanto un momento di fondamentale importanza non solo per la storia artistica di Moena e dell’intera valle di Fiemme, ma più in generale dell’arte trentina ed italiana.
Il rilievo di Valentino Rovisi nel panorama artistico regionale è rappresentato infatti dalla capillare diffusione delle sue opere in tutta la regione (Brusino, Calavino, Cavalese, Cavedine, Cembra, Grumes, Moena, Someda, Panchià, Predazzo, Roncegno, Soraga, Sorni, Tesero, Torcegno, Varena, Vigo Cavedine, Vigo di Fassa, Ziano di Fiemme, etc.) nonché nei territori limitrofi (Cencenighe, Canale d’Agordo, Falcade, Vallada Agordina, Irrighe, Chiusa); il suo ruolo nel panorama artistico nazionale è invece caratterizzato dalla sua interpretazione della maniera di Giambattista Tiepolo, offrendosi quale esempio per la comprensione di alcuni aspetti della metodologia operativa impiegata nella bottega del maestro veneziano, tema di notevole fascino e ancor oggi in fase di studio e di interpretazione e a cui questo lavoro intende dare un piccolo contributo.
Il percorso di ricostruzione dell’attività artistica del pittore, il cui catalogo delle opere si presentava colmo di attribuzioni dubbie ed incerte, è partito e si è fondato sullo studio ed interpretazione dei documenti, operazione filologica che ha permesso di individuare con certezza alcuni momenti esecutivi, restituire alcune opere autografe ed espungerne altre come anche di ordinare la biografia dell’artista nonché di precisare alcune datazioni di opere del suo maestro, Tiepolo, dimostrando quanto l’analisi dei cosiddetti “minori” possa risultare fondamentale anche per lo studio degli artisti più celebri.
La ricomposizione il più possibile completa ed esaustiva della figura di Valentino Rovisi attraverso la vicenda della sua famiglia, delle sue amicizie, dei suoi contatti, degli ambienti da lui frequentati oltre allo studio sistematico della sua produzione artistica, ha consentito di definirne le principali tappe, gli spostamenti più significativi tra cui spiccano due distinti soggiorni veneziani l’uno formativo, l’altro di collaborazione entro la bottega di Giambattista Tiepolo L’artista, calato entro l’ambiente artistico e culturale dell’epoca soprattutto in rapporto al soggiorno veneziano, emerge come un figlio della propria epoca, un’epoca di cosmopolitismo: la precisa contestualizzazione della storia artistica e personale di Rovisi acquista così un particolare valore ed offre un peculiare punto di osservazione sul suo tempo, il Settecento, su quanto questo secolo ha rappresentato all’interno dello sviluppo culturale e sociale dell’intera Europa.


organizzazione: Museo Pinacoteca della Magnifica Comunità di Fiemme - Castello del Buonconsiglio Monumenti e Collezioni Provinciali