Weber: la scienza e la politica come “vocazione”
Il lavoro intellettuale come professione di Max Weber
Gaspare Nevola, Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale
Quell’anno la parte monografica del corso era dedicata alla burocrazia. Attorno alla cattedra di sociologia si era costituito un piccolo gruppo di studio formato da studenti avanti con la carriera e da alcune matricole. Dovevamo assegnarci i libri. I più grandi (perché decidevano loro) scelsero chi Marx, chi Engels, chi Lenin, qualcuno Bernstein o Kautsky. Il “movimento del ‘77” era probabilmente già in incubazione. A me e ad un mio amico, che eravamo “primini” assegnarono Weber e Michels (dopotutto, anche questi facevano parte del programma di esame). Non ricordo perché (o forse proprio non l’ho mai saputo, non saprei): mi presi Weber. Dopo qualche mese, pieno di compunto entusiasmo presentai la mia relazione (che forse tengo ancora chissà in quale cassetto o in cantina): esposi il “tipo ideale” di burocrazia, i rapporti tra il burocrate e il politico, la razionalizzazione come “disincanto” del mondo, l’”avalutatività” della scienza, l’etica della convinzione e quella della responsabilità in politica. “Mi sembrano cose interessanti ... ci aiutano a comprendere la società, la politica, la scienza” - commentavo timidamente, mentre esponevo. “Ma va là! Weber era ... l’organo di Bismarck” - disse uno di quelli grandi (e tutti gli altri giù a ridere o a sorridere)...
organizzazione: Club Alpbach Trentino - Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale